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Tra i corridoi dei palazzi di Bruxelles leggenda narra che quando i leader devono prendere una decisione entro la scadenza della mezzanotte, talvolta i funzionari mettano indietro le lancette degli orologi. Ma non questa volta. Dopo quattro giorni di trattative serrate, discussioni notturne e cravatte slacciate, i capi di Stato e di governo dei 27 paesi dell’Unione europea sembrano vicini a trovare un accordo sul Recovery Fund, il piano da centinaia di miliardi di euro per ricostruire l’economia dell’Ue dopo il coronavirus. L'ultima proposta del presidente del Consiglio europeo Charles Michel è di 750 miliardi di euro, divisi in 390 di sussidi e 360 di prestiti. All'Italia spetterebbero 209 miliardi, di cui 82 di sussidi e 127 di prestiti. Anche i paesi frugali sarebbero propensi al sì, avendo ottenuto degli sconti sul loro contributo al bilancio 2021-2027. Ma lo scorso fine settimana si è giocato sulla tensione tra singoli paesi, prima tra tutte quella che ha visto protagonista l’Italia del presidente del Consiglio Giuseppe Conte opposta ai Paesi bassi di Mark Rutte. Michel ha tenuto la barra dritta sulla divisione di competenze tra Commissione e Consiglio, visto che Paesi bassi, Danimarca, Svezia e Austria volevano anche imporre il diritto di veto sugli investimenti dei singoli paesi. Che invece non ci sarà, dopo decine di ore di discussione con Francia e Germania a fare da principali mediatori. Tra Rutte e il premier ungherese Viktor Orban lo scontro si è fatto quasi personale, con il magiaro che ha accusato l’olandese di «prendersela con me e con l’Ungheria, e non so perché». La discussione riguardava lo stato di diritto, calpestato da anni in Polonia e Ungheria da governi che ormai in molti definiscono “democrature”. Ultima, in ordine di tempo, la tensione tra il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, che ha definito «un ottimo risultato» la diminuzione di oltre cento miliardi dei sussidi rispetto alla proposta di partenza, e con l’inquilino dell’Eliseo che alcune fonti hanno descritto come “furioso” per le continue pause al negoziato imposte da Vienna. Appena prima di entrare in riunione per l’ultimo, forse decisivo, round, Conte ha parlato di «passi in avanti sul negoziato» e di «cauto ottimismo» in vista delle battute finale. L’esecutivo ha ottenuto il sostegno di tutti i partiti della maggioranza e dell’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, che ha proposto un cambiamento delle regole europee perché «con l’unanimità ogni nano si fa gigante». Ma negli scorsi giorni anche Forza Italia ha esortato Conte a trovare il miglior accordo possibile, mentre Lega e Fratelli d’Italia hanno evitato attacchi diretti. «Ma ora dobbiamo finalizzare, non solo per i mercati finanziari ma per i cittadini europei», ha detto il presidente del Consiglio sostenuto dal ministro agli Affari europei, Enzo Amendola, secondo il quale il governo «sente la responsabilità di difendere gli interessi dell’Italia e dell’Europa». Ma dal momento che a Bruxelles si discute non solo il Recovery Fund ma l’intero bilancio dell’Ue 2021-2027, la posta in gioco è alta anche sul fattore clima. La Francia vorrebbe destinare a strumenti di contrasto al cambiamento climatico almeno il 40% del budget, mentre i paesi del cosiddetto gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) non vorrebbero prendere impegni prima di conoscere i target da raggiungere entro il 2030, che verranno stabiliti a settembre. Era dal Consiglio europeo di Nizza del gennaio 2000, durato cinque giorni, che i leader non si riunivano per così tanto tempo prima di prendere delle decisioni. In quel caso fu approvato il Trattato di Nizza, che riguardava le riforme istituzionali dell’Unione. A distanza di vent’anni e travolta dalla pandemia di Sars-Cov-2, l’Unione europea è chiamata oggi a fare un passo in avanti nel proprio percorso di crescita. Pena rimanere schiacciati tra quelle che lo studioso Alessandro Aresu ha definito “le potenze del capitalismo politico”, cioè Cina e Stati Uniti.