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L’ Europa mette a fuoco ciò che da anni si ripete in tutte le tavole rotonde giuridiche: se l’Italia è il fanalino di coda europeo per crescita economica, la ragione sta anche nella lentezza della sua giustizia civile. E, con il pragmatismo di Bruxelles, fa anche il passo in più: vincola la disponibilità di una parte dei fondi destinati all’Italia dal Recovery Fund proprio al loro utilizzo per velocizzare i processi. In sintesi, la Commissione Europea ribadisce implicitamente ciò che gran parte dell’accademia e delle professioni ha sempre ripetuto in questi anni: per rendere più rapida la giustizia civile non bastano ( o non servono) riforme procedurali, ma occorre un’iniezione di denaro, da spendere in personale e infrastrutture. Solo in questo modo, secondo Bruxelles, sarà possibile ridurre drasticamente la durata dei contenziosi civili, che sono uno dei tappi che bloccano il rilancio economico del nostra paese.
La proposta è contenuta nel Next Generation Eu, il documento presentato dalla Commissione Europea sul ricovery plan da 750 miliardi di euro tra prestiti e sussidi in quattro anni, che servirà a far uscire il Continente dalla recessione economica provocata dal coronavirus. Di questi, secondo il commissario per l’Economia Paolo Gentiloni, all’Italia spetteranno circa 172 miliardi, di cui 81,8 miliardi di sussidi e 90,9 miliardi di prestiti da restituire. La cifra è la più alta tra i paesi dell'Unione ma non è a fondo perduto: il suo utilizzo è legato delle misure messe in campo da ogni singolo paese per rilanciare l’economia nazionale.
Per venire incontro ai paesi più scettici ( Austria, Paesi Bassi, Svezia e Danimarca), il progetto presentato dalla presidente Ursula von der Leyen prevede le condizioni a garanzia del denaro sborsato: ogni stato dovrà esentare a Bruxelles il piano nazionale di riforme e investimenti che intende finanziare. Il documento, inoltre, dovrà essere approvato sia dalla Commissione che dal Consiglio europeo. Infine, i fondi non arriveranno in un’unica soluzione ma saranno erogati «a rate, in base ai progressi compiuti nell’attuazione delle riforme». Nel nostro caso, le priorità sono state chiarite dallo stesso Gentiloni: «Puntare sulla transizione verde e digitale, risolvere inefficienze burocratiche e la lentezza della giustizia civile».
Del resto, i dati sulla giustizia italiana sono ben noti a Bruxelles, come lo sono anche i dati economici che dimostrano come le imprese siano restie a scegliere l’Italia come paese d’elezione anche per la lentezza di eventuali controversie civili. I richiami per la giustizia lumaca si sono susseguiti negli anni: secondo relazione del 2019 di valutazione sulla giustizia della Commissione europea, l’Italia ha il record peggiore d’Europa per la giustizia civile sia nel 2016 ( 514 giorni per arrivare ad una sentenza di primo grado; 843 giorni per il secondo grado e 1.299 giorni per il terzo) che nel 2017 ( 548). Inoltre, il nostro è risultato il nono Paese dell’Ue per soldi spesi nel sistema della giustizia, con l’equivalente di 96 euro per cittadino, di cui il 63% viene investito per coprire gli stipendi di giudici e personale amministrativo. Oggi, dunque, l’Europa lega ancora più esplicitamente a doppio filo il fattore economico con quello giudiziario: l’economia italiana potrà riprendersi dallo shock del coronavirus solo grazie ai fondi europei, parte dei quali dovranno necessariamente essere investiti in giustizia, individuata tra gli ostacoli principali al rilancio della nostra economia. La pandemia, dunque, potrebbe diventare l’inaspettato deus ex machina che permette di affrontare il problema dei problemi della giustizia italiana. Anche perchè la mossa europea arriva in una fase in cui gli stessi partiti di maggioranza di governo e in particolare il Partito democratico hanno chiesto di mettere mano alla giustizia civile. Una bozza di riforma è già sul tavolo, ma il suo orientamento ha il baricentro spostato sulla riforma della procedura, nella convinzione ( o illusione) che in essa si annidino le lungaggini che soffocano il processo. Ora, invece, la mano tesa dell’Unione europea potrebbe permettere un passo più lungo e ambizioso, che incida sulle endemiche carenze strutturali della giustizia italiana.
Le cifre a disposizione, sono ancora solo quelle della proposta formulata dalla Commissione. E’ probabile che, alla fine del negoziato tra falchi del nord e colombe, le cifre si riducano. Ma il principio resta: i fondi dipendono dalle misure che verranno messe in campo dai singoli Stati per rilanciare l’economia, su cui Bruxelles vigilerà attentamente. Il momento che inizierà a dare concretezza al piano di rilancio economico europeo è fissato per il 19 di giugno, la data del Consiglio europeo in cui si discuterà il Next Generation Eu. Il testo finale, poi, dovrà venire approvato dal Parlamento europeo. Dunque, i fondi del Recovery Fund inizieranno a venire stanziati non prima di gennaio 2021. Del resto, si tratta della più poderosa manovra di rilancio europeo dal secondo dopoguerra e servirà a proiettare il vecchio continente nel futuro: una parabola tutt’altro che facile e che rischia di infrangersi contro l’incapacità di mediazione dei singoli Stati o la loro incapacità politica di aderire a direttrici comuni. Gentiloni, infatti, ha chiarito la scommessa alla base del progetto di Ursula von der Leyen: ogni paese deve considerare questa un’opportunità di modernizzazione e transizione digitale, ecologica e ambientale. Nella cornice di questi principi generali «spetta a ciascun paese stabilire quali sono le priorità e spetta alla Commissione verificare che queste priorità siano coerenti con un disegno complessivo».