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«È un tema ampio, ne sono consapevole. Con la norma che punisce il cosiddetto revenge porn abbiamo guardato alla tutela delle donne, o anche degli uomini, vittime dell’uso distorto di immagini private. Un intervento mirato, di cui siamo fieri e convinti. Ma è vero anche che va diffusa una più ampia civiltà della rete. E approfondirò senz’altro gli esiti del G7 dell’avvocatura, tenuto un anno fa, per cogliere ulteriori spunti in vista di future iniziative».
Francesca Businarolo, deputata del Movimento cinque stelle, è la presidente della commissione Giustizia della Camera. È molto soddisfatta, e ne ha motivo. Proprio all’organismo da lei presieduto può essere attribuita la matrice del voto unanime contro la diffusione di video e foto hard. L’emendamento che martedì, nell’aula di Montecitorio, ha raccolto 461 voti favorevoli e nessun contrario «è stato presentato dalla nostra Stefania Ascari, relatrice della legge sul codice rosso, in sintonia con tutti gli altri deputati della commissione», ricorda Businarolo. «Quell’unanimità è l’espressione più visibile di un clima davvero positivo avvertito durante i lavori sul ddl. E devo dire che in queste ultime ore è come se dal voto di martedì riverberasse un’onda lunga».
È la svolta verso un clima più collaborativo per la legislatura?
Preferisco stare ai fatti. Di sicuro anche su altri aspetti del codice rosso si è continuato a discutere in modo costruttivo. Credo che se ne debba dare merito innanzitutto alla relatrice Ascari. Ha condotto il suo lavoro sul codice rosso con una tale attenzione e disponibilità a raccogliere spunti positivi anche dalle opposizioni da essere riuscita a favorire il clima di queste ore. Certo, è da martedì che mi chiedo se si tratta solo di una fortunata congiuntura astrale. A rifletterci, non intravedo una generale prospettiva di convergenza.
Perché?
Ci sono temi che uniscono e altri che fatalmente dividono. Sul revenge porn c’è stata condivisione e ne sono contenta: assicuriamo una maggiore tutela ai cittadini, con questa e le altre norme del codice rosso.
Forse è il tema della civiltà nella rete a essere sentito da tutti come urgente.
Credo che in questo caso specifico l’attenzione di tutti si sia rivolta all’obiettivo di tutelare le donne. C’è un’idea comune sulla gravità dei comportamenti di chi strumentalizza immagini per ricattare le donne, ma anche gli uomini, sia chiaro. Sono forme di violenza, da punire severamente: credo che il comune denominatore riguardi la difesa delle donne, non una generale stretta nell’uso della rete. Lo si coglie anche dallo sviluppo dell’esame sul codice rosso.
A cosa si riferisce?
Tra gli altri aspetti condivisi nelle ultime ore segnalo l’emendamento Carfagna, riformulato, che introduce il reato di induzione al matrimonio. Scelta in linea con la norma contro chi sfregia il volto di un’altra persona, e che interviene su comportamenti tipici di realtà lontane dalla nostra. Al centro di tutto resta la donna: le sanzioni sull’uso del web sono pensate per i sempre più frequenti casi di ragazze messe in difficoltà da immagini postate da qualche ex. Ciò detto, la necessità di diffondere l’etica in rete esiste.
Nel 2017 il primo G7 dell’avvocatura si è occupato proprio del linguaggio d’odio: il suo Movimento in futuro potrebbe condividere con le istituzioni forensi una campagna contro tale deriva?
C’è una disciplina oggetto di numerosi studi, la netiquette, l’etica in rete. Io credo che si debba dare priorità assoluta alle scuole, affinché i docenti, con le famiglie, insegnino che se esistono regole di civiltà in una agorà fisica, vanno tradotte anche sui social. Chi posta un commento su facebook deve sentirsi culturalmente tenuto a rispettare quella netiquette. Naturalmente tutti i canali possono essere utili. Non posso decidere su future campagne. Però andrò senz’altro a riguardare la risoluzione condivisa dalle avvocature nel 2017: credo se ne possano trarre spunti interessanti.
Proprio gli avvocati, in particolare i penalisti, rilevano nel codice rosso la mancanza di risorse per formare le forze dell’ordine che dovranno accogliere le denunce di maltrattamenti in famiglia.
Il ministero della Giustizia ha smentito che l’articolo sulla formazione di agenti e carabinieri possa essere inefficace se non collegato a nuovi stanziamenti. Le verifiche sull’organizzazione dei vari Corpi ci danno la certezza che si potranno tenere corsi in grado di formare adeguatamente chi dovrà accogliere le vittime. Ci sono già i presupposti per assicurare una migliore professionalizzazione.