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A quanto dicono i beninformati nessuno, mentre i senatori votavano la Nota di aggiornamento al Def, aveva il cuore in gola più di Silvio Berlusconi. L’ex Cavaliere non aveva alcuna intenzione di sfregiare la sua immagine pubblica di oppositore offrendo al governo un aiutino, anche solo nella forma usuale di alcune uscite strategiche dall’aula. Il capogruppo Romani pare sia intervenuto con i modi gentili di un capomanipolo sull’unico senatore azzurro tentato dal voto a favore. Però Berlusconi tifava con altrettanto intensa passione per il passaggio a vele spiegate del Def.
Al Senato, dove i ranghi dei senatori in libertà ma già impegnatissimi nel “guardarsi intorno” per le prossime elezioni, la missione era tutt’altro che impossibile e a convogliare sulla Risoluzione di maggioranza i voti del centrodestra in libera uscita ci ha pensato Denis Verdini, incaricato anche di mantenere i contatti tra i due leader un tempo alleati e che covano un nuovo fidanzamento per il dopo elezioni: Matteo e Silvio. In queste faccende Verdini è insuperabile e il risultato è stato brillante: senza scomodare il soccorso azzurro e pur dovendo fare a meno dei voti Mdp, il governo ha incamerato 164 voti, maggioranza più che assoluta.
La manovra congiunta Nazareno-Arcore affidata all’ufficiale di raccordo Denis conferma che la partita in corso ha per posta in gioco non la vittoria dell’uno o dell’altro ma il governo comune dopo le elezioni. Almeno nei piani di battaglia di Renzi, però, è una battaglia che va vinta a tavolino più che nelle urne: con un lavoro meticoloso sulla legge elettorale, sulle alleanze e sulla composizione delle liste. Se passerà il Rosatellum, Berlusconi deve avere forza sufficiente per staccarsi dalla Lega un attimo dopo il voto, restando tuttavia tanto al di sotto della coalizione di centrosinistra da non creare problemi al Nocchiero del Nazareno.
Il capo azzurro, pressato da un Gianni Letta che solo a sentir nominare il Rosatellum sbotta, ha tentato di riproporre il sistema tedesco, quello affossato dalla Camera a voto segreto in giugno. No Way! Renzi ha risposto picche: «Berlusconi deve capire che ormai è impraticabile». In compenso gli ingegneri elettorali di area Pd hanno fatto il possibile per dimostrare al sovrano di Fi che, se saprà trattare a muso duro con la Lega sui candidati maggioritari, il Rosatellum non solo non gli toglierà un seggio, ma gliene lascerà a sufficienza per risultare determinante in qualsiasi maggioranza possibile.
Berlusconi esita, anche perché gli emendamenti alla legge elettorale su cui sembra puntare il Pd per assicurarsi la vittoria a tavolino penalizzano sì soprattutto M5S e sinistra, ma ridimensionano anche l’armata azzurra. L’emendamento che proponeva di garantire il passaggio della soglia di sbarramento a qualsiasi partito avesse superato il 3% anche in una sola Regione, cucito a misura di Angelino Alfano, è stato accantonato. In aula il Pd non mira però a bocciarlo: solo ad ammorbidirlo. Per passare la soglia al Senato sarebbe necessario il 3% in almeno 3 regioni. Da un lato una simile norma rende più facile la vita alla lista centrista, che dovrebbe essere guidata da una figura come quella del ministro Calenda per nascondere l’imbarazzante presenza di Alfano. Ma soprattutto spalanca i cancelli alla “trovata” con cui Renzi spera di aggiudicarsi il Sud: i governatori di Campania, Puglia e Sicilia darebbero infatti vita a una lista comune, coalizzata col Pd, facendo il pieno di voti locali, e ovviamente anche clientelari. A completare il quadro ci sarebbe una lista europeista, con Emma Bonino in testa, e una di sinistra con Pisapia, anche se negli ultimi giorni è spuntata l’idea di accorpare queste ultime ove l’ex sindaco di Milano dovesse perdere per strada le sue truppe, cioè l’Mdp. Un’ipotesi però smentita da Campo progressista.
Nella strategia di Renzi un simile quadro di partenza dovrebbe permettere prima di fare una campagna elettorale tutta centrata sul “voto utile” antidestra risvegliando i sopiti istinti ferini antiberlusconiani dell’elettorato di sinistra e poi, se sarà necessario, allearsi con un Berlusconi forte sì, ma non tanto da poter sbarrare al ragazzo di Rignano la strada per il ritorno a palazzo Chigi. Sia l’ingresso dei centristi che, soprattutto, quello dello truppe dei governatori andrebbero a tutto svantaggio di una Forza Italia che, col Rosatellum, al sud sarebbe già tutt’altro che sicura e al nord dovrebbe consegnarsi nelle mani della Lega. Si può capire che di fronte a una scelta che gli lascerebbe sì le mani libere però con potere contrattuale decurtato l’ex cavaliere esiti. Renzi conta di convincerlo con due argomenti contundenti: il primo è che col Consultellum sarebbe costretto a una lista comune con la Lega, col rischio di finire impastoiato; il secondo, e più minaccioso, è che alla fine, ove Mattarella insistesse, potrebbe anche venire fuori un decreto teso ad armonizzare le leggi di Camera e a quel punto come si fa a essere sicuri che da qualche pertugio non rientrino le preferenze, cioè quel che Arcore più teme?