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«La scissione è già avvenuta, noi ci dobbiamo chiedere come recuperiamo quelle persone che non ci votano più». Ormai Pier Luigi Bersani parla quasi da ex. L’accelerazione di Matteo Renzi sui tempi congressuali non soddisfa le richieste delle minoranze. «Serve una riflessione politica. Da Renzi non me l’aspetto, ma da quelli che stanno attorno a lui me l’aspetto, chi ha buonsenso lo metta», spiega l’ex segretario ai cronisti che lo accerchiano in Transatlantico. E anche se Bersani non lo nomina mai, l’appello è rivolto al ministro Dario Franceschini, azionista di maggioranza del renzismo, l’unico capo corrente in grado di far cambiare idea al capo del Pd. Per le minoranze, l’ex premier ha solo fretta di tornare al voto. «Stiamo parlando di far dimettere Gentiloni in streaming», continua Bersani, che propone invece una road map più lenta: «Diamoci un percorso ordinario. Facciamo il Congresso nei tempi ordinari, da qui a giugno mettiamoci alle spalle la legge elettorale, facciamo le amministrative, poi prepariamo bene il Congresso». Perché in ballo - è il mantra delle minoranze - c’è il futuro del Paese e quello del partito: «Non è questione di calendario. Il problema è se siamo il Pd o il “PdR”». I tempi per una eventuale mediazione, però, sono sempre più stretti. Renzi dovrà decidere entro sabato se accogliere le richieste bersaniane nel corso dell’assemblea nazionale. In caso contrario, la scissione sarebbe inevitabile.