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Quattro indizi in 24 ore fanno qualcosa in più di una prova. Mercoledì scorso, in commissione Giustizia al Senato Iv ha votato con la destra l'istituzione di una Giornata della Memoria per le vittime della giustizia. Nessuno ha apprezzato più di Silvio Berlusconi.
La sera stessa Romano Prodi in persona ha santificato l'ex arcinemico: “Non ci sarebbe nulla da obiettare a un ingresso di Fi nella maggioranza”. E l'ex reprobo? “Invecchiando si diventa più saggi”.
L'oggetto di tanta stima ha graziosamente respinto l'invito, con una nota azzurra spesa per chiarire quel che era in realtà già chiarissimo a tutti e in particolare a Prodi: non c'è nessuna possibilità che Fi appoggi questo governo.
Ma sul gradimento delle parole del professore ad Arcore non sussistono dubbi. A rincarare, giovedì, è stata ancora Iv, con una interrogazione al ministro della Giustizia sulle registrazioni del defunto magistrato Amedeo Franco secondo cui la sentenza contro Berlusconi, di cui lui stesso era stato relatore, era stata emessa non da una corte di giustizia ma da un “plotone d'esecuzione”. Bonafede si è defilato con tutta la goffagine possibile e il capo dei senatori Iv Faraone, in replica, ha aperto le porte a una commissione parlamentare d'inchiesta sulle condanne a carico del leader azzurro.
Di rincalzo è arrivato nel giro di poche ore il capogruppo del Pd a palazzo Madama Marcucci: “Le idee e i valori di Fi possono essere di grande importanza”.
E ancora, citando Prodi: “Pensa che gli europeisti debbano stare tutti dalla stessa parte e io sono d'accordo”. Comprensibile la soddisfazione nello stato maggiore azzurro. Conte, da parte sua, aveva già provveduto a notificare la sua convinzione che Fi sia un'opposizione rispettabile e degna di nota, a differenza dei suoi ex compagni di governo leghisti e di FdI. Dunque la strategia dell'attenzione verso Fi è un fatto e tracima ormai nel vero e proprio esercizio di seduzione.
Già, ma con quale obiettivo? A quale fine? Qui le cose si complicano, soprattutto perché l'obiettivo non è affatto chiaro neppure agli aspiranti seduttori. Il quadro futuro è troppo confuso e incerto per azzardare piani di battaglia dettagliati.
Ci si muove alla cieca, però sapendo che la rete di protezione azzurra si è già rivelata indispensabile per il dl Rilancio e potrebbe esserlo di nuovo, che nella truppa parlamentare azzurra c'è chi, al Senato, pensa a un cambio di casacca che irrobustirebbe l'esangue maggioranza, che in una eventuale crisi futura tutte le porte che oggi sembrano blindate potrebbero riaprirsi e in una politica come quella italiana nessuna fantasia è troppo azzardata. Renzi, dal canto suo, sa che giocare di sponda con una parte dell'opposizione ne rafforzerà le posizioni nella maggioranza, e perché sprecare l'occasione.
Tutti questi calcoli e altri ancora si mischiano nella strategia dell'attenzione nei confronti di Arcore e nella santificazione dell'un tempo aborrito Silvio Berlusconi.
Ma l'orizzonte di fondo è meno angusto: guarda al futuro, non al presente. Alla scacchiera politica di domani, non a quella di oggi. Perché questo quadro sta per essere cancellato e nel palazzo lo sanno tutti. Il 20 settembre, salvo improbabili sorprese, la riforma costituzionale sarà resa definitiva dal referendum. In quello stesso attimo molti scopriranno che un Parlamento delegittimato dal referendum non può eleggere il capo dello Stato.
L'opzione elettorale nella prossima primavera prenderà corpo letteralmente in poche ore o pochi giorni. Il prossimo Parlamento sarà eletto con una legge proporzionale. Renzi otterrà quel che chiede per dare il suo semaforo verde: una soglia di sbarramento abbassata al 3% anche se c'è chi ancora spera di difendere almeno il 4%.
Fi voterà contro per disciplina di coalizione fingendosi maggioritaria ma in realtà si fregherà le mani perché solo il proporzionale la rimette davvero in gioco.
Col proporzionale le cose cambieranno. Tornerà a essere possibile una ricostruzione più ordinata del quadro politico, con una sinistra moderata, un centro nel quale negli auspici di molti dovrebbe figurare Fi e una destra.
In nome del comune europeismo, che resterà il discrimine principale, a quel punto un'alleanza post- elettorale fra sinistra e centro diventerà possibile.