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Bagarre Dem Pd: l’un contro l’altro armati. Se serviva ulteriore riprova del fatto che il nuovo corso zingarettiano non abbia ancora lasciato segno sufficiente, a fugare ogni dubbio è arrivata l’intervista dello stratega moderato Dario Franceschini.
L’ex segretario, big molto considerato ( non solo nel partito ma anche al Colle), ha scelto il Corriere della Sera per lanciare un siluro verso il Parlamento, con un secondo obiettivo al cuore della segretaeria Dem.
«Da parte di Renzi c’è stata più volte la rivendicazione orgogliosa di aver lasciato che Lega e 5 Stelle facessero il governo. Io credo che quella sia la madre di tutti gli errori. Sì, un grande sbaglio non avere fatto tutto quello che avremmo potuto fare per evitare la saldatura di Lega e 5 Stelle in una legislatura che peraltro elegge il Capo dello Stato», sono le esatte parole dell’ex ministro, che spara ad alzo zero contro l’ex segretario e articola una linea che poco assomiglia a quella dell’attuale: in poche parole, apriamo ai 5 Stelle, perchè sono diversi dalla Lega e con loro si possono «difendere insieme i valori umani e costituzionali che Salvini calpesta e violenta ogni giorno».
Scoppia la polemica Le sue parole hanno comprensibilmente scatenato la bagarre: dai dirigenti alla basa dem, tutti a dividersi tra favorevoli e contrari.
E il più contrario di tutti, nemmeno a dirlo, è proprio il “senatore semplice” Matteo Renzi, che sceglie di rispondere con un irato post su Facebook, che dimentica ogni formalità: «Chiarito che sono concettualmente contrario, mi domando che gusto ci sia ad aprire ai Cinque Stelle per ricevere il giorno dopo da Di Maio la risposta: “Non ci accordiamo col Partito di Bibbiano”. Ma che senso ha?», e poi ancora, «Franceschini si sforza di offrirmi un trattato di tattica parlamentare e di saggezza politica, ma il godimento nel prendere schiaffi non si chiama politica, si chiama masochismo».
Infine, non rinuncia alla stoccata personale, in risposta agli attacchi altrettanto personali riservatigli dall’ex ministro del suo Governo: «Aggiungo che chi, come Franceschini, ha perso nel proprio collegio e poi consegnato la propria città alla destra dopo settant’anni, forse potrebbe avere più rispetto per chi il collegio lo ha vinto e continua a governare i propri territori».
Zingaretti fa da paciere Un conflitto politico aperto e plateale, per nulla sedato dal segretario Zingaretti che parla di «evitare tempeste che poi sono nei bicchieri d’acqua» e prova ad abbassare la tensione rileggendo l’intervista di Franceschini con un «Nessun governo con il M5s è alle porte e nessun governo con il M5s è l’obiettivo del Pd. Questo anche Franceschini lo dice in modo chiarissimo. Così come prendere atto che ci sono due forze diverse significa semplicemente evitare che sempre di più diventino un blocco».
Se tra i due leader volano stracci, le correnti si accodano. I renziani si ricompattano ( soprattutto tra le fila dei parlamentari) e ribadiscono il niet ad ipotesi di alleanza: «Con gli avversari non si fanno alleanze nè pre nè post, e Lega e 5 Stelle sono i nostri avversari», tuona Teresa Bellanova, cui fa eco Ettore Rosato, che definisce i due alleati di governo «fratelli gemelli, ogni tanto uno fa il buono e uno il cattivo, alternandosi i ruoli. Ma la sostanza è questa. Interessi comuni, visioni comuni, atteggiamenti e parole comuni».
Sulla stessa linea anche l’ex presidente del Pd, Matteo Orfini, che definisce M5s e Lega «un blocco unico, anche sui social, che non conosce sfumature. E chi ci vede delle differenze forse vive in una realtà distopica».
Sulla stessa linea anche Carlo Calenda - solitamente battitore libero - che chiede una «definitiva smentita sulla ricerca di un accordo con i 5 Stelle» e accelera sulla costruizione di un programma.
Tra gli zingarettiani, invece, c’è chi apprezza la scelta non tanto di proporre accordi, quanto di operare dei distinguo tra i gialloverdi: «la Lega è un avversario irriducibile con cui puoi solo adottare la linea del bastone, in senso politico», spiega al Dubbio Roberto Morassut, membro della segreteria, «I cinque stelle sono avversari coi quali usare bastone e carota. Sulla base dei contenuti e delle diverse sensibilità che vi albergano. Ma ora sono avversari. L’obiettivo deve essere spaccarli».
Opzioni differenti In ogni caso, un punto è chiaro: dentro al Pd si dibattono due anime con due diverse visioni politiche ( le stesse che si sono divise nella fase subito successiva al 4 marzo).
Una, che punta a spaccare l’asse del governo lusingando la componente, grillina. L’altra, che considera politicamente più pagante la linea dell’alterità rispetto al governo come blocco considerato granitico.
Il segretario dovrà, scegliere, anche i segnali sembrano suggerire che lo abbia già fatto.