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Com’è finita? Che il decreto Covid è venuto sì incontro alle richieste dell’avvocatura ma, per così dire, è arrivato a metà strada e si è fermato. O si è dovuto fermare. In che senso? Le disfunzioni del “Portale dei servizi telematici” – che ormai gli avvocati hanno ridotto all’acronimo Pst, con amara familiarità – sono entrate in una legge dello Stato, dunque se ne terrà conto. Nel senso che, in tutti i casi di «malfunzionamento» (espressione inserita testualmente nel decreto), il direttore della Dgsia ne prenderà atto e comunicherà formalmente il blackout, attraverso lo stesso “Pst”. In circostanze simili gli avvocati sanno rimessi in termini: scatterà cioè la norma prevista all’articolo 175 del codice di procedura penale, che considera il difensore non decaduto, rispetto a una scadenza per la produzione di atti, in casi di «forza maggiore». Benissimo: qual è il “ma”? Innanzitutto l’avvocato resta subordinato alla certificazione di un soggetto terzo, vale a dire il ministero. Ma soprattutto, non è stata pienamente accolta la principale richiesta avanzata da Cnf, Ocf e Ucpi: accettare sempre e comunque gli atti su carta, o ancora meglio via pec, fino a che l’infrastruttura telematica della giustizia penale, il “Pst”, non avrà cominciato a funzionare come si deve. Anche per diversi mesi, al limite, se fosse necessario.A dire il vero, oltre alla predetta norma relativa al «malfunzionamento» e alla conseguente “dichiarazione di resa” della Dgsia, il decreto Covid contiene un’ulteriore misura, che come la precedente, modifica l’articolo 24 del decreto 137/2020, in modo da delegare al singolo procuratore capo il potere di stabilire di volta in volta se in quella sede siano accettati i «depositi analogici», quando viene proclamato il «malfunzionamento» del portale. E qui è difficile dare torto ai rilievi dell’Unione Camere penali, contenuti in una nota diffusa poco fa, e in cui si legge che, così, il governo «formalmente legittima il federalismo delle Procure». Perché appunto, «potrà ogni singolo procuratore consentire il deposito cartaceo dell’istanza o dell’atto in relazione a specifiche problematiche. Dunque, sarà il Pubblico ministero a decidere se ammettere il deposito cartaceo a fronte della denunzia di malfunzionamento del sistema o se non farlo, lasciando così il difensore nella incertezza determinata da problemi tecnici oggettivi». Problemi che, si ricorda, «l’Ucpi ha documentato in queste giornate di astensione e che si riassumono – per richiamare i più frequenti – nella non accettazione degli atti sulla piattaforma, in automatiche modifiche delle date di nascita degli assistiti (anche solo di un giorno) così generandosi la irricevibilità dell’atto, nella mancata tempestiva accettazione di avvenuto deposito a fronte di decadenze e scadenza dei termini». Rispetto alla preoccupazione dei penalisti, il governo deve aver considerato un punto di vista espresso dalla guardasigilli Marta Cartabia proprio all’Ucpi in un incontro della scorsa settimana. La ministra era stata certamente schietta nel prefiguare l’impossibilità di un’accettazione generalizzata dei “depositi analogici”, dunque su carta: «Dobbiamo verificare per ciascun ufficio giudiziario se le risorse di personale che attualmente è possibile impiegare in presenza sono adeguate ad assicurare il ricevimento degli atti cartacei». La verifica non deve aver dato esiti del tutto confortanti. Evidentemente Cartabia ha ritenuto di dover per forza affidare al singolo ufficio inquirente la valutazione sulla sostenibilità dei depositi “a mano”. Che la situazione sia complicata lo riconosce la stessa Ucpi. Non a caso all’inizio del comunicato diffuso poco fa si riconosce «l’impegno della ministra» che «l’Unione ha molto apprezzato». Ciononostante «la soluzione che è stata approntata si palesa contraddittoria e comunque inadeguata», continua la nota. Anche perché, concludono i penalisti, si potrebbe adottare misure di «buonsenso», già con la conversione del decreto, «che consentano agli avvocati, nella fase della pandemia, il deposito via pec degli atti quando il difensore autocertifichi che esso non sia stato tecnicamente possibile attraverso il portale». L’Unione presieduta da Gian Domenico Caiazza assicura di voler continuare «nelle prossime settimane la propria azione politica in Parlamento» proprio per arrivare a tale punto di caduta. Che non sembra irraggiungibile. E che renderebbe giustizia allo stress da “Pst” accumulato dall’avvocatura penale italiana in questi ultimi mesi.