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«Interveniamo per modificarlo ma non lo aboliamo». Giuseppe Conte scandisce con cura le parole utilizzate per spiegare la modifica del reato d’abuso d’ufficio contenuta nel dl Semplificazioni appena approvato dal Cdm. Del resto, la formula “salvo intese” con cui il testo supera il primo step la dice lunga sulla fragilità dell’accordo ottenuto dalle forze di maggioranza. E l’abuso d’ufficio è stato uno dei nodi più complicati da sciogliere, con Italia Viva che chiede di mettere a verbale le proprie riserve sulla riforma, e il Movimento 5 Stelle, da sempre ostile a interventi su quella fattispecie di reato. Con la riforma «andiamo a colpire chi non fa, e non più il dirigente che si assume la responsabilità di firmare per sbloccare un’opera», si affretta a precisare il presidente del Consiglio, sottolineando come su questo punto ci sia «stata larghissima convergenza» tra le forze di maggioranza. «Interveniamo per modificare e circoscriverne la portata ma non lo aboliamo affatto. Prevediamo una violazione di specifiche regole di condotta perché possa scattare la fattispecie criminosa e non più per principi generali», puntualizza ancora il premier.
L’articolo 323 del Codice penale viene modificato nell’ottica di circoscrivere la responsabilità dei funzionari pubblici, che spesso per paura delle sanzioni scelgono di non firmare atti e procedimenti. Un provvedimento, dunque, nato per arginare la cosiddetta “sindrome della firma”. L’obiettivo è definire in maniera chiara gli ambiti di responsabilità dei funzionari pubblici, attualmente considerati passibili per la violazioni di “leggi e regolamenti”, una formula ritenuta troppo ampia e generica che spesso genera immobilismo per paura di infrangere le norme. L’intenzione del governo è quella di specificare le condotte vietate ed eliminare i margini di discrezionalità.
Se per le opposizioni si tratta di una riforma troppo timida che rischia addirittura di generare ulteriore confusione, per alcuni partiti di maggioranza la modifica concepita in Cdm genera imbarazzi per ragioni opposte. A cominciare dal Movimento 5 Stelle, che nella scorsa legislatura aveva addirittura presentato, con Alfonso Bonafede, un emendamento per inasprire le pene previste. Solo un anno, fa all’epoca del governo giallo- verde, i grillini avevano sbarrato la porta a Matteo Salvini, convinto, allora come oggi, della necessità di abolire l’abuso d’ufficio per far ripartire il Paese. «Ho sentito dire da qualcuno che questo reato lo si vuole abolire», scrive nel maggio 2019, sul Blog delle Stelle, il capo politico Luigi Di Maio per stoppare le spinte dell’alleato leghista. «È forse un modo per chiedere il voto ai condannati o per salvare qualche amico governatore da una condanna?», sono le dure parole rivolte al coinquilino di maggioranza d’allora. «È un reato in cui cade spesso chi amministra, è vero, ma se un sindaco agisce onestamente non ha nulla da temere. Non è togliendo un reato che sistemi le cose. Ma che soluzione è? Il prossimo passo quale sarà? Che per evitare di far dimettere un sottosegretario togliamo il reato di corruzione?
Sia chiara una cosa, per noi il governo va avanti, ma a un patto: più lavoro e meno stronzate!».
A poco più di un anno di distanza la questione è di nuovo sul tavolo, solo che questa volta a sponsorizzarla è ilpresidente del Consiglio espresso dal Movimento 5 Stelle. Lo stesso un anno fa, eppure completamente diverso. Bonafede e compagni sono costretti a ingoiare il rospo, non senza mal di pancia però. Ed è plausibile che la formula “salvo intese” lasci ancora margini di manovra agli scettici.
Per le opposizioni, invece, quello del governo è un passo troppo timido che rischia di creare danni maggiori. Il leader della Lega rimane sulle sue posizioni: quel reato va semplicemente cancellato. Così come è convinto il responsabile Giustiza di Forza Italia Enrico Costa: «L’abuso d’ufficio è un reato da abolire, perché è fattispecie vaga ed indeterminata e consente ai pubblici ministeri di entrare nelle valutazioni dei pubblici amministratori, facendo rientrare nella “violazione di legge” anche l’eccesso di potere e le violazioni dei principi di cui all’articolo 97 della Costituzione. A questo si aggiunga che è sufficiente una condanna di primo grado per far scattare la sospensione dell’amministratore local», dice il deputato azzurro. «Il governo si rende conto di queste criticità, ma non ha il coraggio di andare fino in fondo è di cancellare il reato: sarebbe una scelta troppo contraddittoria con la loro consuetudine manettara». Ma quella del centrodestra non è una voce isolata. Di recente, anche l’ex procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, hspiegato che la maggior parte dei procedimenti per abuso d’ufficio vengono archiviati, sottolineando come l’attuale norma «concorre a creare sacche di immobilismo produttivo che bloccano l’intero Paese», soprattutto per effetto del fenomeno del «rifiuto di firma da parte dei funzionari pubblici, che per paura di finire invischiati in qualche inchiesta evitano responsabilità».
Conte prova a invertire la rotta, ma le burrasche sono sempre imprevedibili.