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Una “fake news” al giorno toglie il medico di torno. Matteo Salvini non fa tempo a ripetere che i porti sono chiusi e che nessuno sbarcherà, ed ecco che la Procura di Agrigento fa scendere a Lampedusa i 47 naufraghi della Sea Watch, mentre il Viminale informa che quest’anno, alla data di lunedì 20 maggio, erano sbarcati 1265 immigrati ( quelli ufficiali, identificati con tanto di impronte digitali).
Ospite degli studi di La 7, il ministro dell’Interno ha comunicato che la politica del governo è una mano santa contro gli annegamenti, tanto che nel 2019 i morti in mare sono stati soltanto due. Ma ecco che viene smentito dai dati dell’Agenzia Onu per i rifugiati, che parlano di 402, finora, tra morti e dispersi nel Mediterraneo, mentre lo soccorre una precisazione del suo ministero: due sono solo i cadaveri che sono stati recuperati.
E poi gli immigrati irregolari, che a un mese dalle elezioni europee sono scesi magicamente a quota 90 mila dai 500 mila di cui si parlava nel contratto di governo. Ancora: un Paese raccontato per tanti mesi come insicuro, che ridiventa miracolosamente sicuro con il calo dei reati comunicato a pochi giorni dal voto.
Per non parlare di una quinta bufala, dispensata ripetutamente dal nostro vicepremier: il rischio di islamizzazione dell’italica penisola. Smascheriamola subito: tra gli immigrati, i fedeli di Allah sono poco più di 2 milioni, ovvero il 3,5 per cento della nostra popolazione, e soltanto attorno al 2050, secondo una stima del Centro di ricerche Idos, supererebbero da noi quota 6 per cento e il 10 per cento in Europa. I 5,3 milioni di immigrati regolari del nostro Paese sono in larga prevalenza cristiani.
Ma quanti sono allora gli stranieri irregolari? Calcolarli è un esercizio assai complicato, di cui s’è fatta carico la Fondazione milanese Ismu. All’inizio del 2018 ne stimava 533 mila: sono questi i dati di cui si faceva forte il governo gialloverde.
Il professor Gian Carlo Blangiardo, demografo dell’Università Bicocca, già colonna dell’Ismu e da tre mesi presidente dell’Istat, ha aggiornato la stima a gennaio del 2019: adesso sarebbero 600 mila gli immigrati ai quali si affibbia spesso il marchio di “clandestini”. Ma questo stock deriva in misura del tutto minoritaria dagli sbarchi.
La verità è che da sei anni non viene approvato un decreto flussi che abbia al centro il lavoro dipendente. Il decreto del 2019 prevede appena 30.850 ingressi di cittadini non comunitari, in prevalenza per lavori stagionali, poi per conversione di permessi precedenti, o per lavoro autonomo, per permessi di studio e altro ancora. Insomma, in Italia non si può entrare legalmente per trovare un lavoro fisso.
E’ lo stesso sistema dei “decreti flussi”, su cui si basa l’attuale legge sull’immigrazione, la Bossi- Fini del 2002, che crea percorsi irregolari e contorti. Prevede, infatti, che si debba entrare nel nostro Paese con il contratto di lavoro già in tasca, come se una famiglia in cerca di una badante, un ristorante che ha bisogno di un cameriere o un’ impresa che non trovi sul mercato italiano un operaio specializzato, fossero disposti ad assumere questi lavoratori a scatola chiusa, sulla base di una foto e di un curriculum e senza averli mai visti all’opera.
Le cose non vanno in questo modo. Decreto flussi o no, il sistema largamente prevalente praticato in Italia per trovare un impiego è il seguente: entri con un visto turistico di tre mesi e cerchi lavoro, quando i tre mesi sono passati, diventi inevitabilmente “overstayer”, ma intanto ti sei fatto notare e magari una famiglia o un’impresa promette di assumerti. A quel punto, se c’è un decreto flussi, te ne vai furtivamente nel tuo Paese d’origine, per tornare poi in Italia con tutti i documenti in regola per essere assunto, timbrati dal nostro consolato. Se il decreto flussi non c’è, resti lo stesso qui, ma da irregolare.
E’ per questo che periodicamente abbiamo bisogno di sanatorie che svuotino il bacino di lavoro illegale che inevitabilmente si forma. Ben quattro ve ne sono state ancor prima della Bossi- Fini. Quella varata dal secondo governo Craxi nel 1996, con 105 mila regolarizzati, poi la legge Martelli del 1990, con 217 mila, il decreto Dini del 1995, con 246 mila, la regolarizzazione della Turco- Napolitano, che ha interessato 217 mila migranti, e nel 2002 forse la più grande sanatoria della storia d’Europa, quella della Bossi- Fini, che ha messo in regola 650 mila stranieri.
Dovremmo forse considerare una sanatoria anche il decreto flussi del 2007, con 444 mila lavoratori, in prevalenza rumeni e bulgari, divenuti allora cittadini comunitari. La settima regolarizzazione è del 2009, riservata però soltanto a colf e badanti, 300 mila delle quali uscite alla luce del sole. L’ultima, quella del 2012, con il governo Monti, che però ha fallito nei suoi obiettivi, intercettando appena 90 mila lavoratori.
Ma poneva condizioni troppo onerose, in piena crisi economica: 1000 euro “una tantum” a carico del datore di lavoro che intendesse regolarizzare e sei mesi di contributi arretrati da versare. Sono passati sette anni e inevitabilmente il bacino si è riempito: bisogna avere il coraggio di proporre la nona regolarizzazione della nostra storia, con benefici per l’Inps, per i lavoratori e per le imprese, alcune delle quali sono quasi costrette a utilizzare irregolari.
I 500 o 600 mila stimati, quindi, in parte non sono mai stati regolari, in parte hanno perso il titolo, perché è scaduto e per non avere più un lavoro. “Ma certamente, di questo numero complessivo, i migranti provenienti dagli sbarchi rappresentano una quota minoritaria” conferma Livia Ortensi, demografa, responsabile del settore Statistica della Fondazione Ismu. Invece Salvini ( e non solo lui), quando parlava prima dei 500 mila clandestini, si riferiva all’invasione via mare, e non anche agli immigrati che sono da molti anni con noi e che andrebbero fatti emergere.
Ma ecco la dichiarazione resa il 23 aprile dal vicepremier e ministro dell’Interno: "Il numero massimo stimabile di irregolari presenti in Italia dal 2015 è di 90 mila persone e non di 500- 600 mila come sostenuto finora”.
Sostenuto anche da lui, ovviamente. Ha poi spiegato che dal 2015 sono sbarcati 478 mila migranti: 268 mila hanno lasciato l’Italia, e sono presenze certificate in Paesi Ue, e altri 119 mila sono rimasti in strutture d’accoglienza in Italia. Sottraendo dunque a 475 mila queste due ultime cifre, si ottengono 90 mila migranti, quelli di cui non c’è traccia.
Numero assai meno inquietante, da mettere in pasto all’opinione pubblica prima del voto, come atto di buon governo. Nel commentare i dati che gli esperti del ministero dell’Interno hanno consegnato a Salvini, l’Ismu fa presente, come detto, che la Fondazione considera l’intera popolazione immigrata, al primo gennaio 2018, mentre invece il ministro si riferisce solo agli sbarchi, e per giunta in un periodo lungo quattro anni e quattro mesi: è dunque il suo un dato di flusso e non di stock. I due numeri “non sono dunque confrontabili, anche se – sostiene l’Ismu - compatibili”.
La seconda notizia fasulla è quella, come abbiamo visto, dei “porti chiusi”. Vero che gli sbarchi si sono notevolmente ridotti negli ultimi due anni. Dal 1 gennaio del 2018 al 17 maggio dell’anno scorso, il calo è stato del 97 per cento rispetto allo stesso periodo del 2017, e questo per effetto dei provvedimenti del ministro Pd Marco Minniti, che ha fornito motovedette alla Libia e imposto un codice di condotta alle Ong, con l’obbligo di non ostacolare le imbarcazioni libiche quando riportano all’inferno dei campi recintati i migranti fuggiti da quelle coste.
Nello stesso periodo di quest’anno un altro calo vistoso, dell’ 88 per cento rispetto al 2018, tanto che a tutto il 20 di maggio, secondo fonti ufficiali del Viminale, erano solo 1.265 i migranti sbarcati.
Ma non è vero che i porti siano stati chiusi, ritornello che invece ama ripetere il ministro dell’Interno. Nessun provvedimento del genere è stato mai adottato, come ha dimostrato l’Asgi, l’Associazione degli studi giuridici sull’immigrazione.
Né poteva essere preso da Salvini. Semmai è il ministro dei Trasporti che potrebbe assumere una decisione del genere - lo ricorda il servizio Fact cheking dell’Agi -, in base all’articolo 83 del Codice della Navigazione, in alcuni casi molto limitati: ma Toninelli non ha mai deciso niente di tutto questo. C’è però la Convenzione Onu di Montego Bay sul diritto del mare, che all’articolo 25 concede a un governo la possibilità di negare l’autorizzazione allo sbarco quando il passaggio di una nave “non è inoffensivo”.
Cioè, come si spiega all’articolo 19, quando “arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero”. Ma per ora “porti chiusi” continua ad essere uno slogan caro al ministro e non il risultato di una decisione concreta. Lo stanno a dimostrare gli stessi sbarchi appena citati.
Sulla sicurezza, come sugli immigrati irregolari, il vicepresidente del Consiglio ha improvvisamente cambiato linea, osservando che i delitti adesso sono calati: meno 12 per cento gli omicidi, nel primo trimestre del 2019 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, meno 20,9 per cento le rapine, meno 18,8 per cento i furti in abitazione, temendo i quali, peraltro, è stata appena approvata la legge sulla legittima difesa.
Peccato che è da più cinque anni che i reati siano in calo. Nel 2013 ci fu il picco di 2 milioni e 900 mila denunce, record negativo del decennio, mentre a fine 2017 eravamo già scesi a 2 milioni e 360 mila. E allora, come mai si continua a soffiare sulle paure degli italiani?
L’Osservatorio europeo sulla sicurezza ha appena fatto sapere che, mentre nel 2012 il 50 per cento dei nostri connazionali lamentava una “insicurezza legata alla criminalità”, questa era scesa al 46 per cento nel 2014, al 41 per cento nel 2016 ed è calata addirittura al 38 a gennaio di quest’anno, dato che ben pochi mezzi d’informazione hanno messo in risalto. Chi è senza peccato, scagli la prima pietra.
Direttori, graduati e redattori che animano i mezzi d'informazione, dovrebbero meditare su queste parole dell'illustre magistrato. Soprattutto i direttori, perché sono loro a dare la linea. Personalmente, non ho mai letto, visto o sentito un'apertura di giornale, di telegiornale o di giornale radio, o un articolo di fondo o quant'altro, che dicesse. ' Calano i delitti: l'Italia è un Paese sicuro'.
Non prendiamocela quindi sempre con i social, con le fake news e con Salvini. base al quale l’ 84 per cento degli italiani riteneva di vivere in un Paese insicuro. Ma se si chiedeva loro se vivessero in una città insicura, solo il 46 per cento diceva di sì. Quindi, siccome non si può vivere in un Paese “insicuro altrove” sono i mezzi d’informazione che creano l’insicurezza'.
Direttori, graduati e redattori che animano i mezzi d'informazione, dovrebbero meditare su queste parole dell'illustre magistrato. Soprattutto i direttori, perché sono loro a dare la linea.
Personalmente, non ho mai letto, visto o sentito un'apertura di giornale, di telegiornale o di giornale radio, o un articolo di fondo o quant'altro, che dicesse: "Calano i delitti: l'Italia è un Paese sicuro".