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Le organizzazioni umanitarie italiane (Ong) che operano nei centri libici per migranti non starebbero migliorando le condizioni dei reclusi, ma ne legittimerebbero la detenzione. Lo si evince dal rapporto pubblicato dall’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi) proprio sugli interventi attuati da alcune Ong che portano avanti progetti finanziati con 6 milioni di euro dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo (Aics). Come spiega l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, l’iniziativa ha suscitato, sin dall’emanazione del primo bando a novembre 2017 molto scalpore nell’opinione pubblica, sia perché il sistema di detenzione per migranti in Libia è caratterizzato da gravissimi e sistematici abusi (“è troppo compromesso per essere aggiustato”, aveva detto il Commissario Onu per i diritti umani) sia per la vicinanza temporale con gli accordi Italia-Libia del febbraio 2017.I centri di detenzione libici, infatti, soprattutto quelli ubicati nei dintorni di Tripoli che sono destinatari della maggior parte degli interventi italiani, sono destinati a ospitare anche migranti intercettati in mare dalla Guardia Costiera Libica, a cui l’Italia ha fornito, e tuttora fornisce, un decisivo appoggio economico, politico e operativo. Il rapporto si interroga quindi sulle conseguenze giuridiche degli interventi attuati, a spese del contribuente italiano, nei centri di detenzione libici.Nel rapporto si apprende che i fondi stanziati dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo nel 2017 per interventi da parte di Ong italiane all’interno di centri di detenzione in Libia ammontano complessivamente a 6 milioni di euro. Tale somma è stata appaltata attraverso tre diversi bandi. Tutte le informazioni sono pubblicamente disponibili sul sito dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo. I bandi in esame prevedono che ciascuna Ong partecipante possa presentare una proposta di progetto come singola Organizzazione o in associazione temporanea di scopo (Ats) con altre Ong. Dalla scelta se partecipare come singoli o in Ats i bandi fanno anche dipendere l’importo massimo del finanziamento, inizialmente fissato a 666.550 euro, poi elevato nei bandi successivi a 1.000.000 di euro. I bandi inoltre stabiliscono che per l’attuazione dei progetti le Ong italiane debbano necessariamente avvalersi di partner locali sul campo, in quanto la situazione di sicurezza non consente la presenza di personale italiano in loco. La possibilità per personale italiano di recarsi nella zona d’intervento può essere valutata caso per caso con l’evolversi della situazione. Le Ong capofila dei progetti approvati sono le seguenti: Emergenza Sorrisi, Helpcode (già Ccs), Cefa, Cesvi e Terre des Hommes Italia. Le altre Ong coinvolte nell’attuazione dei progetti, come partner di quelle capofila, sono Fondation Suisse de Deminage, Gvc (già We World), Istituto di Cooperazione Universitaria, Consorzio Italiano Rifugiati (Cir) e Fondazione Albero della Vita. Al fine di comprendere in dettaglio la natura e la tipologia degli interventi svolti, alcuni soci dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione hanno presentato una serie di richieste di accesso civico per ottenere copia dei documenti più rilevanti relativamente ai progetti in questione, ed in particolare il testo dei progetti presentati ed approvati. Ma nulla da fare. L’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo ha negato il diritto di accesso a tutti i testi dei progetti approvati. L’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione ha messo in discussione la logica stessa dell’intervento ideato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo, mostrando come in larga misura le condizioni disumane nei centri, che i bandi mirano in parte a migliorare, dipendano da precise scelte del governo di Tripoli (politiche oltremodo repressive dell’immigrazione clandestina, gestione affidata a milizie, assenza di controlli sugli abusi, ubicazione in strutture fatiscenti, mancata volontà di spesa, ecc.). I bandi non condizionano l’erogazione delle prestazioni ad alcun impegno da parte del governo libico a rimediare a tali criticità, rendendo così l’intervento italiano inefficace e non sostenibile nel tempo. Ma non solo. Le Ong svolgono un’attività esclusivamente strutturale. Ovvero, secondo il rapporto, alcuni interventi non sono a beneficio dei detenuti ma della struttura detentiva, preservandone la solidità strutturale e la sua capacità di ospitare, anche in futuro, nuovi prigionieri. L’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione si interroga anche sulla destinazione effettiva dei beni e dei servizi erogati. L’assenza di personale italiano sul campo e il fatto che i centri siano in gran parte gestiti da milizie, indubbiamente ostacolerebbero un controllo effettivo sulla destinazione dei beni acquistati. L’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione non esclude che di almeno parte dei fondi abbiano beneficiato i gestori dei centri, ossia quelle stesse milizie che sono talora anche attori del conflitto armato sul territorio libico nonché autori delle sevizie ai danni dei detenuti.