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Vladimir Putin era fresco di nomina nell'agosto del 2000, aveva vinto le sue prime elezioni presidenziali il 26 marzo e giurato il 7 maggio. Si era in piena crisi cecena.
Per non essere marginalizzata al momento della divisione del budget della difesa, la marina russa intendeva dimostrare la propria rinnovata capacità nautica e bellica, dopo il disastro conseguente alla scomparsa dell'URSS, quando decine di navi erano rimaste ad arrugginire nei porti. Allora si era rivelato un problema, risolto da tecnici francesi, anche lo smaltimento dei noccioli radioattivi dei motori nucleari dei sottomarini balistici da trentamila tonnellate.
Per esibire preparazione degli equipaggi e qualità dei mezzi navali, il 12 agosto del 2000, vent'anni fa, era stata organizzata un'esercitazione in mare alla quale prendeva parte, con un ruolo di primo piano, il gioiello della nuova flotta russa, il sommergibile d'attacco a propulsione atomica Kursk, della classe Oscar I/ II secondo la classificazione NATO, di 13.500 tonnellate di dislocamento in immersione. Entrato in servizio nel 1995, aveva un equipaggio di 107 uomini, anche se per l'occasione si trovavano a bordo tecnici e osservatori, che portavano il totale delle persone imbarcate a 118.
Le manovre della flotta russa si svolgevano nel Mar di Barens, a nord della Norvegia, in una giornata di tempo buono e mare calmo.
Prevedevano che il Kursk effettuasse il lancio di un siluro a salve contro un incrociatore per poi far perdere le proprie tracce alle unità di scorta che si sarebbero messe in caccia dell'attaccante. Qualcosa non funzionò, ma in mare, mentre si simulano le condizioni di guerra e si attende che qualcosa di bellico succeda è difficile rendersi conto di quello che accade, nello stretto corridoio tra realtà e finzione.
Alle 08: 51 locali il Kursk richiese il permesso, che venne accordato, di procedere nella manovra come previsto.
Alle 11: 28 gli idrofoni di alcune unità della flotta russa rilevarono i rumori caratteristici di un lancio di siluri, seguito quasi subito da uno scoppio di notevole intensità.
Trascorsero ancora circa due minuti e venne udita un'esplosione molto più violenta, proveniente dalla medesima direzione. A questo punto la vicenda diviene controversa. Chi rilevò che cosa, e chi era in grado di comprendere il significato dei suoni ascoltati e registrati?
Chi conosceva i dettagli degli ordini impartiti ed era in grado di valutare quanto gli accadimenti si discostavano dal loro sviluppo normale?
L'esercitazione prevedeva che si udissero delle esplosioni e i sottomarini sono progettati per attaccare e poi far perdere le proprie tracce, scomparire silenziosi nell'immensità dei mari. Questo anche se la profondità delle acque nella zona scelta per le manovre della flotta russa raramente supera le poche centinai di metri.
Le ragioni per quello che accadde sono molteplici, mentre il corso degli eventi è univoco: per alcune ore nessuno si preoccupa dell'assenza di notizie relative al Kursk. È solo a sera, alle 18.00, ora prevista per un contatto radio fra tutte le unità impegnate nella manovra, che ci si rende conto che il sottomarino è scomparso. Un aereo da ricognizione Ilyushin anti sub si leva in volo per ricercarlo, ma inutilmente.
Alle 22: 30 la gravità della situazione si fa evidente e l'esercitazione viene sospesa. Una ventina di navi, molti aerei e 3000 uomini iniziano una sistematica esplorazione dell'area nella quale la flotta era stata impegnata. A mezzanotte e mezzo prende il mare da Murmasnk la Mikhail Rudnitsky, la nave appoggio sottomarini della marina russa. In agosto nel Mare di Barens è sempre giorno e questo sembra rendere più agevole l'avvistamento e l'eventuale soccorso dell'unità scomparsa.
Gli osservatori occidentali che seguono le manovre rilevano ricerche frenetiche, messe in atto da un vasto apparato, e comprendono che si tratta di tentativi di individuare la posizione di un sottomarino del quale si sono perse le tracce e che con molte probabilità si trova in grave avaria.
Nei decenni della guerra fredda avvenimenti simili si erano verificati più volte, per entrambe le flotte in competizione. I governi occidentali offrono a quello russo la loro collaborazione nella ricerca, ma la proposta viene rifiutata, non è ben chiaro se per volere di Putin o su pressione degli ammiragli russi. Il Kursk è il prodotto della più avanzata ingegneria navale russa, consentire agli occidentali si avvicinarsi o di salire a bordo significherebbe metterli a parte di ogni segreto costruttivo.
Solo nella notte tra il 13 e il 14 si individua infine la probabile posizione del Kurst, adagiato su di un fondo sabbioso a circa cento metri di profondità. Qualcuno commenta che il sottomarino è lungo più di 150 metri: se fosse messo in verticale le eliche uscirebbero dall'acqua insieme a tutta la poppa. La mattina successiva arriva sul posto il rimorchiatore d'altura Nikolay Chiker, che dispone di una fotocamera da immersione con la quale si ottengono le prime immagini dello scafo.
Iniziano i tentativi di mettersi in contatto con eventuali superstiti per effettuarne il salvataggio. Intanto a Vidyayevo, il paesino nei pressi di Murmansk dove vivono le famiglie dei sommergibilisti russi, si svolgono manifestazioni di protesta: i parenti degli uomini imbarcati sul Kurst chiedono di essere informati sui termini reali della situazione.
La perestroika e la glasnost sono penetrate anche nei gangli più nascosti e protetti del sistema militare russo.
Numerose missioni di soccorso tentate con i mezzi subacquei a disposizione della Mikhail Rudnitsky falliscono nei giorni successivi. La tecnologia della nuova Confederazione Russa non si dimostra più avanzata ed efficiente di quella sovietica.
Intanto la bonaccia termina e il mare comincia ad agitarsi, i limiti operativi degli apparati impiegati mostrano tutti i loro limiti. Il 17 agosto, cinque giorni dopo il disastro, Putin decide di accettare le offerte di collaborazione alle operazioni di salvataggio avanzate dalle marine inglese e norvegese. Non quella statunitense, non gradita dagli ammiragli russi dopo quasi un cinquantennio di confronto in tutti i mari del mondo. Gli statunitensi rimangono pur sempre il nemico, rivolgersi a loro per un aiuto sarebbe umiliante.
Anche con i quasi neutrali inglesi e norvegesi sorgono problemi.
Per intervenire i tecnici occidentali hanno bisogno di informazioni sull'architettura del Kursk e sui sistemi di emergenza di cui dispone, in particolare dei portelli e di ogni altro possibile accesso allo scafo. Superate molte diffidenze, alla fine ci si risolse ad autorizzare una visita dei responsabili inglesi e norvegesi all'Oryol, unità gemella del Kursk e dotata degli stessi sistemi per affrontare situazioni critiche.
In quell'occasione si scoprì che gli alberi delle eliche non erano a tenuta stagna in condizioni di arresto e che l'acqua imbarcata penetrava proprio nel compartimento poppiero, il nove, dove era prevista la riunione dell'equipaggio in caso di pericolo.
Il 21 agosto i sommozzatori anglo norvegesi riescono a introdurre una telecamera nel compartimento interessato del Kurst, che sembra il meno danneggiato e presso in quale si trova la camera stagna destinata alle uscite d'emergenza. In un contesto di distruzione con evidenti tracce di incendio vengono individuati i corpi ustionati e senza vita di numerosi marinai russi. Ogni speranza di trovare dei superstiti scompare.
Una successiva ispezione del relitto conferma che alle esplosioni che hanno squarciato lo scavo del sottomarino sono sopravvissuti 23 membri dell'equipaggio, ma solo per poche ore.
Martedì 22 agosto Putin, nonostante sia stato sconsigliato di farlo per tema delle contestazioni cui rischia di andare incontro, si reca a Vidyayevo e incontra le famiglie dei defunti nei locali del centro culturale della base.
Alle circa cinquecento persone riunite il neo presidente russo dà numerose assicurazioni, di natura economica e previdenziale, e fa alcune promesse, tutte mantenute, di carattere umanitario, tra di esse ci sono quelle di recuperare il relitto, dare sepoltura ai defunti e scoprire le vere cause dell'incidente.
Il Kursk fu riportato in superficie l' 8 ottobre 2001, al termine di un'operazione di sollevamento svolta da una società olandese e costata circa 65 milioni di dollari. L'analisi dello scafo e dei danni che presentava ha permesso di ricostruire con buona approssimazione la dinamica degli eventi.
Tutto cominciò con il malfunzionamento del sistema di propulsione del siluro da esercitazione che doveva essere lanciato.
Una perdita di perossido di idrogeno dovuta a cattiva manutenzione causò una prima esplosione, che devastò la plancia del Kurst, lo fece affondare e innescò un secondo scoppio, molto più violento, delle testate da guerra imbarcate sul sottomarino e stoccate in prossimità dei tubi lanciasiluri.
I pochi superstiti si rifugiarono, rispettando le istruzioni in caso di emergenza, nel compartimento nove, dal quale non riuscirono a uscire abbandonando l'unità per il danneggiamento della camera stagna a seguito delle esplosioni avvenute.
Presto l'acqua cominciò ad allagare anche il compartimento nove, mentre l'ossigeno diminuiva. Venne allora accesa una candela per la produzione di ossigeno il cui innesco provocò però l'incendio dei fumi di carburante presenti nell'aria e la combustione dell'ossigeno rimanente.
Così persero la vita gli ultimi superstiti del Kurst. Dalla prima esplosione erano trascorse circa sei ore. Ai parenti rimase la consolazione di sapere che la morte fu repentina, forse alcuni di loro non si accorsero degli ultimi istanti.
Non dovettero sopportare una lunga agonia mentre le possibilità di salvarsi scomparvero presto. Neppure un tentativo di soccorso tempestivo avrebbe avuto successo.
Particolarmente commovente fu il ritrovamento degli appunti scritti da Dmitrij Kolesnikov, il più alto in grado dei 23 superstiti, che assunse il comando del gruppetto chiuso nel compartimento nove, registrò quello che accadeva e continuò a tracciare le ultime incerte parole rivolte ai familiari anche dopo che l'ambiente era precipitato nel buio. Il testo di Kolesnikov si conclude con «Saluto tutti, non dovete disperarvi».