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Nicola Zingaretti non scopre le carte, non entra nel dettaglio di cosa abbia in mente per il futuro del suo partito e per quello della coalizione, ancora non nata, che dovrebbe sfidare la destra alle prossime elezioni politiche. Ma dal poco che dice e da come tiene la barra sembra possibile intuire, almeno a grandi linee, come intenda giocare la partita.
Di certo il segretario del Pd non ha alcuna intenzione di andare allo sbaraglio e di mandare il suo partito al massacro affrontando Salvini nel campo aperto della propaganda strillata.
E' inoltre chiaramente consapevole dei problemi d'immagine che ancora gravano sul Pd agli occhi di molti potenziali elettori. Pare quindi deciso a tenersi un passo indietro rispetto alla prima linea, tanto discreto, quasi invisibile, quanto Salvini è rumoroso, invadente, onnipresente. E' evidente inoltre che il ruolo del Pd, secondo lui, non deve essere, quello speculare alla Lega, di calamitare consensi imponendo se stesso come Dominus. Al contrario, il Pd deve esercitare un ruolo cauto e poco vistoso di motore, la centrale che tiene insieme una rete interna ed esterna al partito ma che, anche quando punta sul partito stesso, mette da parte i leader per esaltare il ruolo dei sindaci, dei governato, degli amministratori locali. Di queste rete, in tutta evidenza, devono far parte le sardine che hanno svolto un ruolo prezioso, forse essenziale, in termini di mobilitazione e campagna elettorale proprio perché esterni ma non ostili al Pd.
Non si tratta dunque di attrarle nel partito, col che verrebbe meno il loro ruolo e la loro stessa utilità, ma di aprire una interlocuzione permanente con l'obiettivo sia di svecchiare il partito che di sfruttare la straordinaria capacità di mobilitazione anche elettorale che i pesciolini hanno messo in campo nelle elezioni in Emilia. Un rapporto molto simile Zingaretti spera di costruire con le forze “antisalviniste” che dovrebbero comporre l'alleanza. Non solo il M5S ma De Magistris a Napoli, anche sacrificando, se il segretario ci riuscirà, De Luca e in generale tutte le realtà sociali e politiche che dovrebbero dar vita a questa “area vasta”.
L'alleanza con i 5S, però, è da questo punto di vista essenziale e la spina principale, per il Nazareno, è proprio lo stato di caos in cui sta affondando il Movimento. Ma per Zingaretti a occuparsi di quel fronte deve essere il presidente del consiglio che dalle file dei 5S in qualche misura proviene e che dai 5S è stato indicato due volte come presidente del conisglio.
Conte, rapido nel capire e nel cogliere le opportunità, il giorno dopo la vittoria di Bonaccini ha chiesto di partecipare al programma di Lilli Gruber sulla 7, con l'obiettivo di porre se stesso come punto di riferimento ed espressione unitaria dell'alleanza antisalviniana.
E' una parte che gli garantirebbe un protagonismo politico di lunga durata e il Pd è ben contento di usarlo come sponda. A patto però che il premier si decida a sfoderare le unghie. Conte ha rivelato doti diplomatiche e accortezza politica insospettate quando si ritrovò quasi per caso insediato a palazzo Chigi.
Ma diplomazia e astuzia non bastano a fare un leader politico. Per il Pd è essenziale che ora il premier faccia in pieno la propria parte in commedia. Significa, in concreto, tre cose: fronteggiare le offensive del guastatore Renzi, che però sono uscite fortemente depotenziate dal successo del Pd in Emilia- Romagna; mettere subito in cantiere una serie di misure che autorizzino a parlare di “Fase 2”, a partire dalla riforma complessiva della fiscalità; rimettere ordine nel formicaio impazzito del M5S, guidandolo verso l'intesa con il Pd.
E' una missione, quest'ultima, dall'esito tutt'altro che certo. Il Pd ha rinunciato all'obiettivo, considerato possibile fino alla sera della vittoria, di un rimpasto.
E' impegnato a evitare screzi e frizioni con il Movimento. Ma il grosso del lavoro, e si tratta di un lavoro difficile, deve farlo Conte. Su questo fronte si gioca in buona parte il suo futuro politico.