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La polemica in atto sulla ben nota questione dei “vitalizi” cioè sulle pensioni per i deputati e i senatori non più in carica, vede protagonista soltanto il movimento 5 stelle e per ciò è necessario fare chiarezza perché una informazione falsa e distorta alimenta la avversione dei cittadini. Gli uffici di Presidenza del Parlamento hanno deliberato a partire dal gennaio 2019 un taglio dei vitalizi per tutti gli ex parlamentari per una percentuale media del 66%: orbene la media della retribuzione pensionistica ammonta a circa 3000 € e quindi si possono subito fare due conti.
Gli ex parlamentari hanno fatto ricorso contro la deliberazione come era loro diritto e hanno contestato nel merito le argomentazioni in essa contenute. Il giudice di riferimento è un organismo parlamentare collegiale che ha la funzione giurisdizionale e per ciò stesso, come indicato specificatamente dai regolamenti, è lontano e fuori dalla politica perché decide di diritti soggettivi, di diritti fondamentali della persona. È così in tutti Parlamenti democratici ed è una prerogativa necessaria per esaltare l’autonomia dei rappresentanti del popolo. I processi si sono svolti nella primavera del 2019 e i singoli parlamentari, così come gli avvocati, hanno portato in udienza le loro rigorose e stringate argomentazioni giuridiche avendo piena fiducia nell’operato delle Commissioni.
L’Associazione degli ex parlamentari è rimasta estranea al contenzioso, ma ha sempre auspicato una serena valutazione e una sollecitata decisione, doverosa da parte dell’organismo giudiziario. Ha interloquito sulle dichiarazioni rese dall’onorevole Di Maio e di altri esponenti di quel movimento che attribuivano a quell’organismo valutazioni politiche identiche a quelle dell’Ufficio di Presidenza autore della delibera contestata, e ha difeso appunto l’indipendenza e la terzietà di tutti i componenti. Nel mese di novembre la componente indicata da cinque stelle si è dimessa senza motivazione per impedire la decisione sui ricorsi così come si è dimesso chi è subentrato. Si è ricostituito infine il collegio il 27 gennaio scorso e la decisione era prevista per il 20 febbraio. Per evitare ancora una volta la decisione è stata rivelata negli ultimi giorni sugli organi di stampa una decisione favorevole ai ricorrenti smentita dal Presidente del collegio, e un pretestuoso e inesistente conflitto di interesse nei confronti dello stesso Presidente sen. Caliendo che ha dichiarato di non partecipare con il suo voto alla decisione su quei ricorsi, e per ciò stesso è venuto meno ad un suo dovere costituzionale.
I legali dei ricorrenti dovranno fare le loro valutazioni giuridiche e procedurali ma ancora una volta l’Associazione è intervenuta per contestare una compagna politica e giornalistica fatta di minacce e di intimidazioni che mirano a non «far decidere, ad impedire cioè agli organi giurisdizionali di pronunciarsi sulla questione». Il problema a questo punto non è più il merito dei ricorsi ma questi miseri espedienti messi in atto per evitare la conclusione dei processi, doverosa e necessaria sul piano costituzionale...
Abbiamo per anni avuto lezione da tanti soloni della politica e del giornalismo che è consentito difendersi nei processi e non dai processi e quella lezione era forse giusta, ma ora gli stessi la hanno dimenticata e usano un metodo scorretto e certamente non democratico. Ci troviamo in presenza di una denegata giustizia che è peggiore di una cattiva giustizia; e tutti dovrebbero sapere che le sentenze sbagliate possono e debbono essere appellate ma non impedite. Un metodo diverso è da condannare da parte di tutti anche da parte di chi ha professato idee diverse sull’argomento.