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Il tribunale di sorveglianza di Sassari ha concesso a un detenuto al 41 bis il permesso di visitare la mamma, molto anziana e in cattive condizioni di salute. La decisione del tribunale di sorveglianza ha sollevato uno scandalo. Guidato da molti giornali, anche dai più diffusi quotidiani nazionali. Perché questo scandalo? Perché il detenuto in questione è stato condannato per reati di mafia molto gravi, anche omicidi, e attualmente è in regime di carcere duro. Il detenuto si chiama Domenico Gallico ed è considerato uno dei principali boss della ‘ ndrangheta a Palmi. È stato condannato 7 volte all’ergastolo. La mamma ha 92 anni, e anche lei è stata condannata per mafia, ha preso un ergastolo.
Ma ora per ragioni di salute e di età le è stato permesso di tornare a casa ai domiciliari.
Il giudice del tribunale di sorveglianza di Sassari ha motivato in modo assai semplice la sua decisione. Negare il permesso - ha detto - avrebbe reso inumana la pena, e dunque sarebbe stata una decisione in contrasto con le leggi e con la Costituzione. Cioè sarebbe stata una decisione illegale. Un detenuto, a prescindere dai delitti che ha commesso, ha il diritto di visitare la mamma morente. L’ordinamento penitenziario consente la concessione di questi permessi anche per i detenuti al 41 bis ( l’avvocata Teresa Pintus, difensore di Domenico Gallico, precisa che esiste un articolo preciso del regolamento, il numero 30, che prevede la concessione del permesso). Il tribunale di sorveglianza di Sassari - cosa non consueta - ha messo il principio costituzionale davanti alle ragioni - diciamo così - di ascolto dell’opinione pubblica. È chiaro che concedere un permesso a un ergastolano al 41 bis ( cioè a una persona che nel senso comune ormai prevalente è considerato come un individuo quasi al di fuori del genere umano) non incontra il favore di gran parte dell’opinione pubblica e va a cozzare contro lo spirito dei giornali e di ampi settori della magistratura.
E infatti è stato in realtà proprio un pezzo della magistratura ad aprire la polemica e dare il là ai giornali ( la notizia, oltretutto, anche per ragioni di sicurezza, avrebbe dovuto restare segreta, ma, al solito, ha prevalso la filosofia della fuga di notizie, che era stata proprio ieri criticata severamente dal dottor Albamonte, presidente dell’Anm). Dalla Dda di Reggio Calabria ( la Dda è la direzione distrettuale antimafia) si è osservato che il detenuto è pericoloso, per i suoi precedenti ( una volta, qualche anno fa, si avventò contro un sostituto procuratore) e potrebbe tentare l’evasione. E per queste ragioni si è chiesto al magistrato di Sassari di lasciarlo in cella. Il magistrato di Sassari si è limitato, più saggiamente, a disporre misure di sicurezza. Gallico sarà scortato a Palmi, avrà solo un’ora di tempo per incontrare la madre, non potrà incontrare nessun altro, sarà controllato a vista, sempre, minuto dopo minuto, dalle guardie armate.
Queste cautele non son servite a niente, e la stampa, col via libero della Dda di Reggio Calabria, si è scatenata contro il magistrato “buonista”.
Dal punto di vista legale c’è poco da commentare. La decisione del magistrato di Sassari è ineccepibile.
Dal punto di vista della giustizia- spettacolo c’è solo da osservare la nuova dimostrazione della sinergia stampa- magistratura, che non ha molto a che fare con l’applicazione della giustizia e che permette la trasfor-mazione della giustizia in occasione di speculazione giornalistica.
Dal punto di vista dell’umanità, invece, devo dire che la ferocia della campagna giornalistica stupisce persino chi, come me, è molto prevenuto nei confronti della saldezza morale e culturale della categoria. Possibile che degli individui pensanti davvero trovino scandaloso che a una persona umana sia concesso il permesso di rivedere la mamma morente? È normale che tanta ferocia, tanto cinismo, siano il carburante di quello che viene chiamato il giornalismo d’inchiesta? Davvero il grado della civiltà della nostra intellighenzia, in pochi anni, è sceso così vertiginosamente.
Dal punto di vista della legalità, invece, c’è da riflettere sulla condizione difficilissima nella quale, spesso, lavorano - in silenzio - tanti magistrati. I quali cercano di applicare la legge con giustizia e umanità. Ma sanno che se davvero usano il metro dell’umanità nelle loro decisioni, rischiano di essere linciati dalla stampa. E devono essere molto forti, e avere molto coraggio, per fare con serietà il loro lavoro. Dobbiamo molto a questi magistrati.