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L’Italia è stato il secondo tra i paesi dell’Ue per entità di risorse ricevute nel settennato 2014/ 2020. Alla fine del 2019, però, solo 58 miliardi su 75 erano stati utilmente impiegati. E solo il 20% delle risorse disponibili, destinate alle piccole imprese, all’occupazione e alla ricerca, erano state assorbite. Si tratta di cifre e bilanci, purtroppo, che risuonano ormai rituali, ammantati della stessa ineluttabilità che può avere lo sconvolgimento delle stagioni o la scomparsa delle api nell’età del riscaldamento globale. Ma vorremmo pensare che non debba essere sempre così. Anche perché non è così per gli altri 24 paesi che ci sopravanzano in Europa nell’assorbimento delle risorse. A proposito: nell’indifferenza generale italiana si sta preparando il nuovo bilancio dell’Ue. Il prossimo Consiglio Europeo, infatti, si riunirà il 20 febbraio in seduta straordinaria per approvare il nuovo Quadro Finanziario Poliennale ( QFP) 2021/ 2027. Ma l'attesa di atti concludenti intorno al fondamentale documento finanziario, chiamato a regolare la vita dell'Unione dopo la formale chiusura del lungo e inquieto capitolo Brexit, rischia di essere vana. Le posizioni dei singoli governi appaiono ancora distanti su questioni centrali, a partire dalla dotazione complessiva del bilancio: allo stato dell'arte, pertanto, appare più probabile che la chiusura della fase negoziale tra i governi dei 27 paesi Ue possa aversi entro il secondo semestre del 2020, probabilmente sotto la presidenza della Germania. La posta in gioco è grossa e trova più di una ragione di contrasto, a partire dalla nuova ripartizione delle risorse presentata dalla Commissione il 2 maggio 2018. L'entità complessiva prevista dalla Commissione per il QFP 2021/ 20127 è pari a 1.135 miliardi di euro in termini di impegni, che corrispondono all' 1,11% del Reddito Nazionale Lordo dell'UE. L'impegno in aumento è di 175,1 miliardi di euro che, peraltro, dopo la Brexit e la conseguente sottrazione di risorse correnti da parte del Regno Unito, comporterebbe una riduzione nel bilancio annuale della UE di 10- 12 miliardi e un aumento delle quote di contribuzione da parte degli Stati- membri, ma di non tutti e non in eguale misura. Secondo le proiezioni della Commissione, infatti, il recesso degli inglesi comporterebbe un maggiore esborso per Germania (+ 5,2 miliardi di euro), Paesi Bassi (+ 0,700 miliardi di euro), Austria (+ 600 miliardi di euro), Danimarca (+ 0, 100 miliardi di euro) e Irlanda, che passerebbe da beneficiario a contributore netto di 0,8 miliardi di euro). L'Italia, invece, insieme con la Francia e la Svezia vedrebbe ridotto il suo contributo ( rispettivamente di - 1,8 miliardi l'Italia, - 2,2 la Francia e - 0,200 la Svezia). Ma le ragioni divisive tra gli Stati membri non si fermano qui: il blocco dei paesi cosiddetti ' frugali', che coincide con il gruppo dell'area centro- settentrionale comprendente Germania, Austria, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia, chiede l'approvazione di un bilancio sostenibile che non superi l' 1% del Reddito Nazionale Lordo dei 27 Paesi UE, indicando, peraltro, un mutamento nella scala delle priorità che privilegi l'innovazione e la competitività comprimendo le risorse per le politiche di coesione e agricole. Un folto gruppo di Stati membri, invece ( che comprende anche l'Italia e include Francia, Grecia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Ungheria), giudica insufficienti le risorse predisposte dalla Commissione e punta ad implementarle per i settori che rappresentano le nuove priorità, come le migrazioni, la difesa e la sicurezza e gli ambiti valutati come fondamentali per la competitività, e vale a dire la ricerca, l'innovazione, lo spazio, il digitale, senza intaccare le dotazioni per la PAC e le politiche di coesione. La proposta mediativa della Presidenza finlandese tende, invece, a collocare il QFP del nuovo settennato all'interno di un range che va dall' 1,03% all' 1,08% del PIL, dunque tra i 1050 e i 1100 miliardi di euro. Una mediazione che tuttavia appare sensibilmente più contenuta della richiesta del Parlamento Europeo che, fin dalla Relazione Interlocutoria del 14 novembre 2018 ( confermata nella risoluzione del 10 ottobre 2019), aveva manifestato l'esigenza di far lievitare il livello del QFP all' 1,3%, pari a 1324,1 miliardi di euro per ' rispondere alle attese dei cittadini'. La partita in gioco per il nuovo QFP, dunque, oltre la contabilità dei decimali, pur rilevante quando la quantità delle provviste finanziarie supera i mille miliardi di euro, è anche strategica: l’investimento nel nuovo orizzonte delle priorità, sottrarrà risorse alla PAC e alla politica di coesione, che cederebbero il 5 e il 6% rispetto al QFP 2014/ 2020. Per l’Italia, sarebbe una perdita secca di 4,7 miliardi di euro per la politica agricola ( PAC), mentre la nuova contabilità prevista per la politica di coesione, grazie anche al Fondo Sociale Europeo plus, potrebbe portare addirittura un beneficio, con un aumento addirittura di nove miliardi di euro circa. Insomma, le vere novità, come si anticipava, vengono dall’aumento delle provviste per alcuni settori d’intervento considerati prioritari, come la ricerca, l’innovazione, l’agenda digitale, i giovani, il clima e l’ambiente, la migrazione e le frontiere, l’azione esterna, per un’entità del 25% delle risorse del bilancio pluriennale, complessivamente pari a 320 miliardi. Non è poco ed è il futuro. Su questo terreno, in un contesto negoziale che non sarà né algido né asettico ma molto conflittuale, l’Italia dovrà giocarsi le sue carte, cercando di portare a casa risultati che non sono affatto scontati. In un ambiente nazionale distratto e ripiegato in modo provincialistico sulle piccole baruffe tattiche della sopravvivenza di ceto. L’Europa? Una cosa lontana, per specialisti. Non per politici.