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Anni fa, Alan Greespan confidò ad un amico il suo personale indicatore economico. Tutti i giorni voleva sulla sua scrivania il dato sul consumo di cartone per imballaggi. Secondo lui, era il miglior termometro per misurare lo stato di salute dell’economia americana.
Se il paradigma di Greespan si dovesse applicare all’Italia c’è poco da stare allegri. Nell’ultimo trimestre dello scorso anno, il consumo di cartone per imballaggi in Italia è diminuito del 2%. Per la cronaca, il pil negli ultimi tre mesi del 2019 è diminuito dello 0,3% ( dati Istat).
Di questo passo, è assai probabile che il pil italiano del primo trimestre del 2020 tornerà in territorio negativo. Ad anticiparlo non è solo il dato sul consumo di cartone ( Greespan rule), ma anche l’andamento della produzione industriale in Germania. E’ diminuita del 3,5%. E Berlino assorbe il 12,5% del nostro export.
Ma a condizionare negativamente la crescita nazionale contribuisce, per alcuni aspetti, anche il Coronavirus. La Cina sta già rivedendo le proprie proiezioni di sviluppo economico. Prima della diffusione del virus, Pechino doveva crescere del 6% quest’anno: in rallentamento rispetto agli anni passati. Oggi il governo già sta preparando una revisione al ribasso; per il momento, al 5%.
E’ del tutto evidente, quindi, che se rallentano l’economia cinese e quella tedesca, difficilmente quella italiana ( export oriented) potrà rispettare la stima del governo di un pil positivo dello 0,6%. Tant’è che al momento, con una buona dose di ottimismo, la crescita acquisita è dello 0%, stima Istat; mentre sempre l’Istituto di statistica prevede che il 2020 possa segnare un pil in crescita dello 0,2%. Previsione indicata anche dall’Ufficio parlamentare di Bilancio ( con una buona dose di ottimismo) A riprova del pessimismo diffuso, il dato sulla produzione industriale, diminuita dell’ 1,3% nel 2019: il dato peggiore dal 2013. Ed essendo l’Italia la seconda manifattura d’Europa, l’impatto sul pil sarà pressochè automatico.
Insomma, nonostante gli sforzi di comunicazione del governo, è assai probabile che quest’anno l’Italia possa tornare nuovamente in recessione. Circostanza che se è negativa sul piano dell’economia reale, può innescare fenomeni positivi sui conti pubblici.
In caso di forte rallentamento della crescita economica, il governo può invocare l’applicazione delle clausole previste dal Patto di Stabilità; quindi, richiede nuova ed ulteriore flessibilità nel rispetto delle regole sul deficit, sia nominale sia strutturale.
Qualora si dovesse avverare lo scenario peggiore ( pil negativo di uno o due decimi di punto), l’appesantimento del deficit nominale sarà dello 0,3/ 0,4%. Vale a dire che il deficit nominale salirà a sfiorare il 2,8%. Andrà peggio al debito visto che mancherà del supporto ( benchè minimo) del denominatore del rapporto.
In questa situazione, il governo potrà facilmente invocare le cosiddette “circostanze eccezionali” che bloccheranno sul nascere le tentazioni europee di avviare le procedure d’infrazione per mancato rispetto degli impegni sul deficit e sul debito. Ma, al tempo stesso, limiteranno ampiamente il campo d’azione degli interventi che il governo ( mediaticamente) ha annunciato di voler intraprendere per avviare la presunta “fase due” di rilancio dell’economia interna.
Insomma, viste le dinamiche dei conti pubblici, difficilmente potrà essere messa in campo realmente l’annunciata revisione delle aliquote Irpef; compensata, forse, da un’analoga rimodulazione delle aliquote Iva. E potrebbe diventare in bilico anche la riduzione del cuneo fiscale, che dovrebbe scattare a luglio. In una fase di recessione, aumentare le aliquote Iva non produce alcun incremento di gettito. Ne sa qualcosa il governo Monti che le aumentò, senza per questo registrare un aumento delle entrate. E senza un aumento del gettito difficilmente potrà esser data copertura finanziaria alla riduzione dell’Irpef.
Il risultato è che anche il 2020 ( come il 2019) rischia di diventare da un punto di vista economico un “anno di passaggio”. Senza alcun intervento di rilancio reale dell’economia reale. L’unica speranza potrebbe arrivare dalla volontà europea di introdurre profonde modifiche al Patto di Stabilità. Ma, come la Storia insegna, il processo decisionale europeo è lungo e farraginoso. Insomma, senza shock reali determinati da una precisa volontà politica, nel 2020 il governo non potrà mantenere le promesse annunciate mezzo- stampa. E per i contribuenti/ elettori vale il principio di Einaudi sui risparmiatori sulla memoria dell’elefante e la velocità della lepre.