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Aldo Grasso, il critico televisivo e di costume del Corriere della sera, ha scritto sul ruolo che i talk show hanno avuto in questa ultima tornata elettorale. Secondo il professore della Cattolica di Milano i programmi di politica, che in questi anni hanno perso molti consensi, avrebbero favorito principalmente il Pd e Forza Italia, mentre l’assenza dalla tv avrebbe avvantaggiato i Cinque stelle.
Il Pd, in realtà, ha avuto contro quasi tutte le tramissioni a cominciare da quelle che in teoria, ma appunto solo in teoria, dovrebbero essere amiche come Carta Bianca su Rai3. Pochissimi partiti al governo sono stati così osteggiati. I Cinque stelle invece hanno potuto contare su quasi tutto il palinsesto di La7: anche quando non erano presenti per- sonalmente in studio, erano rappresentati dai giornalisti ospiti, schierati molto spesso con il loro movimento. La Lega, pur con una strategia comunicativa in parte differente, ha potuto contare sulle trasmissioni di Del Debbio e Belpietro su Rete4.
Ma la questione è molto più strutturale di un appoggio che potremmo definire “esterno” alle forze populiste che poi hanno vinto le elezioni. I talk show sono parte del “populismo”, per alcuni versi lo hanno creato, condizionando la percezione della realtà e gli schieramenti, ancora prima che partitici, ideologici e identitari.
In questi anni siamo stati abitutati a una tv urlata, che ha dram- matizzato qualsiasi problema, dall’arrivo dei migranti alla sicurezza nelle città. Sono state davvero poche le trasmissioni che non abbiano alimentato la paura, creato l’odio per il diverso, fatto credere che i diritti degli uni ( chi arriva in Italia in fuga da fame e povertà) siano opposti ai diritti degli altri ( gli italiani).
È una tv basata non sulla ragione e sui dati, ma sulle emozioni non mediate, sulla cosiddetta pancia, sull’irrazionalità. È una tv che ha creato un suo pubblico, lo stesso pubblico che ha poi votato Cinque Stelle e Lega che usano da questo punto di vista la stessa cifra comunicativa.
Pier Paolo Pasolini, parlando prima di tutti in Italia di quel fenomeno che poi avremmo chiamato globalizzazione, teorizzava un mutamento antropologico degli italiani. Era il rimpianto delle lucciole, che aveva un certo sapore reazionario, ma che coglieva un cambiamento profondo della società. Oggi quel mutamento è diventato ancora più radicale e ha avuto come campo di battaglia proprio un modo di intendere la televisione e l’informazione. Il passaggio da popolo a populismo, dal conflitto all’odio, avviene dentro un format televisivo che vive tutto come una guerra, un processo mediatico, uno scontro. Le forze politiche che non hanno questo approccio alla politica hanno pagato un prezzo molto alto, non solo perché la loro voce risalta di meno, ma perché meno rispondono alla trasformazione antropologica e sociale avvenuta in questi anni. Il presidente del Censis De Rita, che ha fotografato la società del rancore, vede nuovi segni di cambiamento. Comunque sia questo cambiamento non può non passare anche attraverso una riflessione sui mezzi di comunicazione di massa, dalla tv a internet.