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Esiste una barricata. Willy Montero Duarte sta su un versante; i suoi carnefici su quello opposto. A guardare l’immagine del sorriso che i media hanno diffuso subito dopo il drammatico assassinio, ti manca l’aria; specie se hai figli. E quando ti riprendi dall’apnea arriva, sorda, l’incredulità e con essa una rabbia crescente. La mente non riesce insomma a credere che qualcuno - chiunque egli sia - possa scatenare su quel sorriso una furia così violenta da causarne la morte; a mani nude e senza una ragione. Se mai ne possa esistere una.
E così ci ritroviamo, ciascuno a suo modo, a domandarci come tutto ciò sia stato possibile, in che momento della storia abbiamo dimenticato i fondamenti del vivere collettivo, in che famiglia siano cresciuti gli autori di questo atroce misfatto, che scuole e che amici essi abbiano frequentato. Sopraffatti dal cordoglio e dalla indignazione, animati da un’autentica solidarietà per i genitori, i familiari e gli amici di Willy dal magnifico sorriso, tutti noi desideriamo allora giustizia per questo delitto e, alzando sempre più la voce, incominciamo a manifestare un legittimo desiderio di punizione per chi ha ucciso. Arriviamo così sul crinale di quella barricata, quando si palesano sguaiati urlatori che insufflano odio, condendolo sapientemente con immagini di sicura suggestione. Scopriamo allora che alcuni dei ragazzi coinvolti nella vicenda, accusati del delitto, sono esperti di arti marziali, amano fotografarsi in pose truci che farebbero ridere se le circostanze non fossero da tragedia greca, hanno il corpo cosparso di tatuaggi sinistri. Insomma, per dirla così, sono brutti e sporchi. Diventare pure cattivi è un attimo e diventare colpevoli poco di più. Succede allora che i ragazzi che sono accusati del delitto diventino, per la magia del pensiero collettivo, sicuramente assassini perché son troppo sporchi, troppo brutti, troppo cattivi per essere accusati da innocenti. E succede anzi che, alcuni tra coloro che hanno la responsabilità della mediazione e il dovere di fare tutto il possibile per evitare che la stessa violenza e lo stesso odio che ha causato la tragedia non travolga altri dopo Willy, colpevoli o innocenti che siano, alimentino invece, per fini non certo commendevoli, il vento della riprovazione, trasformando automaticamente sulla pubblica piazza l’imputato in colpevole, e pretendendo per lui pene esemplari a seguito di giudizi sommari.
Ce n’è ancora, però. Perché se gli accusati sono già colpevoli, a che gli serve un avvocato? A cosa serve spendere inutilmente il danaro pubblico per celebrare un processo? Come si potrà mai addivenire ad una decisione diversa dalla condanna? E sapete cosa vuol dire tutto questo? Vuol dire che il processo penale perde la sua funzione di garanzia dei diritti del singolo contro il potere soverchiante dello Stato; vuol dire che quel giudice che, dio non voglia, osi contravvenire al giudizio del popolo è un eretico e va anch’esso mandato alla gogna; vuol dire persino che l’avvocato, che ha avuto in sorte il fardello di una difesa così difficile, sia addirittura complice delle malefatte del suo assistito e come tale vada minacciato di morte.
In questo crepuscolo della civiltà, non solo giuridica, sembra restino in pochi (e tra questi l’Unione delle Camere Penali Italiane) a ricordare che la ragionevolezza è imperativa, che la giustizia non è vendetta e che i carnefici sono tali solo quando un altro dramma si è consumato, quello del processo; che è, a sua volta, la sola via attraverso la quale si esercita legittimamente il più terribile del poteri dell’uomo sull’uomo: quello di privare della libertà i propri simili. È innegabile: la stessa violenza che toglie una vita frantuma al contempo la base d’origine della convivenza civile, rompe un accordo secolare tra gli uomini, infrange in un momento e in maniera brutale la prima regola riconosciuta.
Ma fa anche altro: evoca la necessità che quell’ordine venga ripristinato quanto più rapidamente possibile e costruisce un banco di prova. Serve che ciascuno sieda a quel banco e si confronti con se stesso facendo l’unica scelta possibile: rintuzzare nel profondo ogni istinto di vendetta e contribuire a dissipare quegli stessi odio e violenza che hanno generato la tragedia. Esiste una barricata. Vediamo di restare dalla parte di Willy e stringerci con dolce compostezza ai suoi genitori in questo loro momento di indicibile sofferenza.