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La fotografia scattata da Ignazio Visco nelle relazione sullo stato dell’economia italiana è tanto nitida quanto shoccante. Le cifre sono agghiaccianti: la decrescita del Pil, che convenzionalmente misura la ricchezza del Paese, è traumatica quanto basta. Anche la disamina effettuata alla Camera dal professor Silvio Brusaferro lascia poco spazio alle illusioni: la “seconda ondata” del virus ha un indice di probabilità che rasenta la certezza. Per capire dove stiamo andando è necessario sovrapporre le due immagini. Il quadro che ne viene fuori spiega che la pandemia non è debellata e che ha prodotto conseguenze micidiali sul tessuto economico-sociale dell'Italia. Inutile farsi illusioni. Se, come dice il governatore di Bankitalia, le diseguaglianze sono destinate a crescere significa che i prossimi mesi saranno i più difficili e che le tensioni nel cuore profondo del Paese possono diventare gigantesche, con riflessi sull’ordine pubblico. Più che caldo, l’autunno che si avvicina sarà incandescente. Non basteranno i bonus, gli aiuti, le sovvenzioni seppur necessarie perché prima di filosofeggiare bisogna vivere e oggi troppe persone rasentano il livello della sussistenza. Serve, nel linguaggio di Visco, «una rottura rispetto all’esperienza storica più recente». Tradotto significa riprendere a crescere, condizione che l’Italia ha abbandonato da decenni. Per crescere occorre ridimensionare la burocrazia, aumentare lo sforzo contro l’evasione fiscale, incrementare produttività e occupazione. Soprattutto occorre un piano d’azione al tempo stesso realistico e stimolante, e la fiducia per attuarlo. Queste condizioni, inutile girarci attorno, oggi ancora mancano. Manca la lungimiranza che poi temporalmente è ridotta ad una manciata di mesi. Ma la crescita - ecco il punto - non è solo materia fatta di grafici e diagrammi. Prima di essere economica, deve impregnarsi di cultura. La cultura della crescita è quell’impasto di competenza, capacità, conoscenza, visione che se ben amalgamato può diventare il cemento su cui costruire il futuro. E’ in questa direzione che bisogna impegnarsi ad andare. L’inaridimento del confronto ideale per stabilire le ricette più consone al rilancio e la competizione non per individuare le soluzioni più giuste bensì per spartirsi quel pò di bottino che è rimasto, sono due zavorre che ci portano a fondo. Possiamo salvarci solo se lo capiamo per tempo.