RENATO SCHIFANI

«Il centrodestra ha le idee chiare sul suo futuro e non ha bisogno di consigli». L’ex presidente del Senato e senatore di Forza Italia, Renato Schifani, risponde a Dario Franceschini e detta la strada: alleanza con la Lega Nord, legge elettorale proporzionale con premio di coalizione e voto. E sulle prove di alleanza Pd- 5 Stelle sorride: «Al Senato i loro voti sommati non bastano ad approvare la legge elettorale».

Senatore, come ha interpretato le parole del ministro dem Dario Franceschini sul Corsera?

Per la parte che ha riguardato la legge elettorale, il suo è stato un contributo che considero distensivo, anche se Forza Italia ha già fatto la sua proposta, nonostante Matteo Renzi e Maria Elena Boschi lo dimentichino spesso.

E per quel che riguarda il consiglio di abbandonare la Lega Nord per essere un vero partito del Ppe?

Ecco, quella invece è stata un’ingerenza non necessaria. Forza Italia ha le idee chiare sul da farsi e non ha bisogno di suggerimenti su come muoversi in futuro.

Il centrodestra, quindi, esiste solo se c’è anche la Lega Nord, nonostante ad esempio - l’aperto sostegno di Salvini all’ultradestra di Marine Le Pen?

Io sono convinto che per il centrodestra sarà necessario lavorare per ricondurre la Lega su posizioni non estremiste e populiste, e in questa direzione si sta muovendo Silvio Berlusconi. Con Salvini c’è totale convergenza sui grandi temi come l’economia, il sociale e la sicurezza, e ne abbiamo dato prova alla Camera, quando abbiamo votato insieme compatti sulla legittima difesa. Come dice Berlusconi, siamo al 95% dell’intesa.

E quel 5% che manca che cos’è?

Quello che manca è una convergenza sull’atteggiamento nei confronti dell’Europa. Attenzione, anche Forza Italia è critica rispetto all’Europa così com’è: un’Europa non dei popoli e delle solidarietà ma della tecnocrazia e della burocrazia. Noi, però, vogliamo cambiarla rimanendone parte e non uscendo.

Anche Franceschini nell’intervista si rivolgeva direttamente a lui: Berlusconi rimane l’asse portante del centrodestra?

Berlusconi rimane centrale nel dibattito sul futuro del centrodestra e sulla legge elettorale. Nonostante le peripezie giudiziarie e politiche che lo hanno portato alle dimissioni, continua ad essere il fondatore e il collante della nostra coalizione.

Lei crede che l’effetto- Francia con la sconfitta di Le Pen farà correggere la linea a Salvini?

Io sono convinto che Salvini rifletterà sulla sconfitta di Le Pen. E spero rifletta attentamente anche sul fatto che, in tutta Europa, i populismi e gli estremismi non pagano e non vincono, ma rimangono minoritari.

In Francia si è anche attestata la crisi dei partiti tradizionali, in favore di leader e movimenti meno strutturati.

Guardi, in questi giorni si parla molto di Marcon come dell’uomo nuovo, dimenticando però che è un politico che viene dalla sinistra, un uomo dei poteri forti che era ministro dell’Economia con Hollande. Macron si è insinuato in un periodo di crisi di identità dei partiti e i cittadini hanno mostrato di preferire la proposta e il leader, rispetto alle vecchie logiche di appartenenza. Oggi protagonisti della politica sono il trasversalismo e la progettualità e lo dimostra la disaffezione degli eletto- ri rispetto ai partiti.

In Italia, però, il progetto del centrodestra unito è ancora vincente?

Forza Italia governa bene sul territorio insieme alla Lega e non vedo davvero per quale motivo questo non debba avvenire anche a livello nazionale. Noi lavoreremo perché la posizione della Lega sia più attenta all’unità per vincere e alla condivisione di un progetto unitario nel rapporto con l’Europa. Confido nella grande capacità di mediazione di Berlusconi: così il centrodestra può tornare a vincere e i sondaggi lo dimostrano.

Franceschini, invece, nell’invitarvi a lasciare la Lega contrappone forze responsabili a forze populiste. Una mano tesa all’ipotesi di “grande coalizione” al centro tra Pd e Forza Italia?

Io parto dal presupposto che alle elezioni si corra per vincere con il proprio progetto. Confido che il centrodestra sia unito e rivendichi un voto utile per una vittoria della sua coalizione. Detto questo, noi non ci poniamo il problema del dopo, ma quello del prima: riunire la coalizione e raggiungere la maggioranza dei voti validi per tornare al governo.

Tutto torna al nodo della legge elettorale. Franceschini pensa a un premio alla lista e non alla coalizione. Sarebbe accettabile per il centrodestra?

No. Noi proponiamo un modello su base proporzionale identitaria con premio di coalizione, al raggiungimento della soglia del 40%. Sia chiara una cosa: io credo che quelli che dicono no alla coalizione e sì al premio alla lista - come Pd e 5 Stelle - vogliono un proporzionale nascosto. Solo con le coalizioni si può raggiungere la soglia del 40%, perché nessun partito ci arriva correndo da solo. Ecco il grande inganno: i dati sono ben noti e chi rivendica il premio alla lista nasconde chiaramente la volontà di un sistema proporzionale.

Scommetterebbe sulla possibilità di riuscire a trovare un’intesa su un testo condiviso a livello parlamentare?

I margini necessariamente ci devono essere. Mi insospettiscono, però, queste accelerazioni di Renzi. Lui domenica dichiara di aspettare una proposta dai partiti del No, mentre lunedì il capogruppo Rosato dice che il Pd si farà carico di portare in Commissione un testo base. Ecco, il fatto che leader e capogruppo si contraddicano l’un l’altro nel giro di ventiquattr’ore non lascia ben sperare sulla concreta volontà di un dialogo costruttivo.

Da un lato Franceschini lancia appelli a Berlusconi, dall’altro ci sono segnali di intesa tra Pd e 5 Stelle. Secondo lei il Pd prova a giocare su più tavoli?

Franceschini si è sempre contraddistinto per il suo approccio dialogante nei confronti del centrodestra, e io personalmente l’ho sempre apprezzato. E’ evidente, poi, che nel Pd ciascun esponente apicale si muove in sintonia con le proprie convinzioni e non escludo che alcuni di loro si stiano rivolgendo al Movimento 5 Stelle per trovare punti di intesa. Dimenticano una cosa, però.

Che cosa?

Che al Senato l’asse Pd- 5 Stelle non è sufficiente per garantire l’approvazione della legge elettorale. Di là, senza di noi, non passano.