PHOTO
Pancia in dentro, nonostante il pasto, diciamo così, divorato nella spartizione delle presidenze delle commissioni parlamentari a metà legislatura, e petto in fuori per l’orgoglio di essere ancora una volta al centro della scena, lo stesso Matteo Renzi si sarà sentito a disagio - spero- ritrovandosi il giorno dopo il ribaltone al Senato contro Salvini, per la vicenda della nave spagnola “Open Arms”, col tanto odiato Fatto Quotidiano. Che peraltro, tenendo fede all’"Innominabile” applicatogli dal direttore Marco Travaglio in persona per la frequenza con la quale l’ex presidente del Consiglio lo porta in tribunale per diffamazione, neppure lo ha citato nel titolo di prima pagina, e tanto meno ringraziato, per il peso decisivo avuto contro il “pugile suonato” della Lega.
Eppure bisogna andarci piano con Renzi quando se ne analizzano mosse e contromosse, svolte e controsvolte. L’uomo è astuto come una volpe, se non vogliamo scomodare l’antico conterraneo Niccolò Machiavelli o il meno lontano Amintore Fanfani, distintosi nella storia della Democrazia Cristiana per la capacità di sorprendere e rialzarsi dopo ogni caduta. “Rieccolo”, lo chiamò Montanelli, pure lui toscano.
Se mai si arriverà davvero ad un processo contro Salvini per sequestro di persona – “non vedo il reato”, disse Renzi quando il caso esplose sul piano giudiziario con la richiesta di autorizzazione a precedere - il senatore di Scandicci potrà rivendicarne la paternità politica per il peso decisivo avuto in quei 149 voti nell’aula di Palazzo Madama contro i 141 a favore dell’ altro Matteo”: un peso decisivo quanto quello svolto dal suo partitino assentandosi nella competente giunta del Senato e facendo prevalere il no all’autorizzazione a procedere.
Fra l’uno e l’altro passaggio, pur non potendosi certamente escludere che Renzi abbia davvero letto meglio “le carte”, come promise o si riservò di fare, un maledetto caso ha voluto che nella maggioranza di governo l’ex presidente del Consiglio abbia avuto la possibilità di giocare e vincere, per le cariche da lui rivendicate, la complessa e difficilissima partita - accennata all’inizio del rimescolamento delle presidenze delle commissioni parlamentari. I grillini alla fine hanno dovuto ingoiare, salvo spararsi poi addosso nel solito dopo- partita, l’odiatissimo renziano Luigi Marattin alla presidenza della strategica commissione Finanze della Camera. Dove passeranno tutte le misure d’impiego dei fondi europei di soccorso varati nel recente vertice di Bruxelles.
Se nell’eventuale processo per la vicenda della nave spagnola “Open Arms” Salvini dovesse riuscire a tirarsi appresso, con tutti i complicati passaggi del caso, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, come si è pubblicamente proposto di fare, non è per niente detto che Renzi ne soffrirebbe. Al contrario, potrebbe fargli molto comodo, dati gli alti e bassi dei suoi rapporti con Conte.
Al netto di tutti i suoi errori comportamentali - tra felpe di polizia, berretti della Guardia Costiera, castelli di sabbia al Papeete, crocifissi e immagini della Madonna fra tasche e labbra, citofoni usati come armi improprie e pieni poteri da rivendicare come noccioline- Salvini non è proprio quel disarmato, o “pugile suonato” di travagliesca definizione, che immaginano gli avversari più accaniti. Sulle sue vele peraltro torna a soffiare il vento di un’emergenza migratoria mista a coronavirus.
Contro Salvini, per negargli la copertura nella vicenda della nave spagnola bloccata per una ventina di giorni nelle acque italiane nella scorsa estate, mentre si sfarinava la maggioranza gialloverde, Conte ha potuto esibire solo la lettera in cui gli intimò, ottenendolo, lo sbarco dei minorenni. Ma gli altri, sequestrati secondo l’accusa pervenuta al Senato, rimasero a bordo col consenso implicito del presidente del Consiglio, dichiaratamente impegnato - nella stessa lettera all’allora suo ministro dell’Interno e vice presidente del Consiglio nei soliti negoziati dietro le quinte per la loro più o meno equa ripartizione a livello comunitario.
Ciò era d’altronde accaduto anche l’anno prima con i migranti trattenuti sulla nave “Diciotti” della Guardia Costiera, per il cui presunto sequestro la maggioranza gialloverde impedì che potesse essere processato Salvini. Al quale i grillini, per quanto sofferenti, riconobbero con tanto di consultazione digitale, prima del voto in aula al Senato, di avere solo “ritardato” e non impedito lo sbarco dei malcapitati, in attesa appunto della loro distribuzione fra paesi e comunità disposti ad accoglierli.
Nella motivazione del sì all’eventuale processo il senatore Renzi si è avventurato - temo- a negare le condizioni stabilite da una legge costituzionale per esonerare “con giudizio insindacabile” del Parlamento, come dice la norma, un ministro dall’obbligo preteso dalla magistratura di rispondere penalmente della sua azione di governo. Queste condizioni sono, testualmente, “la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante” e “il perseguimento di un preminente interesse pubblico”.
Beh, pur non volendo seguire Salvini nella rivendicazione forse un po’ troppo enfatica della inviolabilità dei “confini” della Patria, mi riesce francamente difficile negare la difesa di un interesse pubblico “preminente” nel fermo perseguimento di una distribuzione fra i più paesi europei di migranti diretti verso porti italiani che sono i confini meridionali dell’Unione. Via, cerchiamo di essere seri e di non nasconderci dietro false motivazioni politiche e persino umanitarie. Sono stati ben strani - riconosciamolo- quei presunti sequestrati su navi aperte a visite e controlli di ogni tipo, e assistiti sotto varie forme.
Se non si dovesse procedere ad un rinvio a giudizio, ora che la palla è stata restituita dal Senato al tribunale di Palermo, Renzi potrebbe sempre dire di avere creato con i voti dei suoi parlamentari la premessa anche di questo fortunato epilogo. Ma gli resterebbe a carico comunque il prolungamento di una vicenda giudiziaria per avere esercitato in modo sbagliato il diritto di valutare “insindacabilmente” - ripeto - le condizioni previste dalla Costituzione a tutela del legittimo esercizio di un’azione di governo, cui del resto Renzi non può considerarsi incompetente, avendone addirittura guidato uno fra il 2014 e la fine del 2016.
E avendo in quella veste anche promesso, con assai modesti risultati, di restituire alla politica “il primato” sottrattole da un esercizio quanto meno invasivo dell’azione giudiziaria.