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Sarà una primavera bollente per la politica italiana. Sollevando lo sguardo dallo scontro in atto sulla giustizia, bypassando il prossimo duello interno alla maggioranza ( magari sulle concessioni autostradali) si possono facilmente intuire le sagome delle urne. Non le elezioni politiche anticipate - rese praticamente impossibili nel breve periodo dal combinato disposto del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari e, con la probabile vittoria dei sostenitori della riforma, dell’inutilizzabilità del Rosatellum - ma le Regionali. Magari il lettore si starà godendo la ( semi) pausa dalla campagna elettorale permanente della politica italiana dopo l’accoppiata Emilia- Romagna e Calabria, ma i motori della propaganda sono pronti a riattivarsi. E con loro, anzi prima di loro, i movimenti dei partiti.
Nella coalizione di governo il progetto di alleanza regionale e locale immaginata dal Pd continua a scontrarsi con le resistenze di parte dei vertici del MoVimento e, soprattutto, con la base grillina che, regione dopo regione, manda segnali di aperta criticità rispetto a questa prospettiva. In Campania nemmeno l’impegno personale del presidente della Camera ha potuto ribaltare un orientamento locale fortemente ostile al Pd. In Toscana la base non sembra intenzionata a convergere sul candidato del centrosinistra Eugenio Giani; in Liguria, nonostante le pressioni del vicesegretario dem Orlando, il M5S non ha ancora preso una posizione, mentre i grillini pugliesi non sono disponibili ad appoggiare Michele Emiliano. Un puzzle complicato e, al tempo stesso, surreale visto che, mentre si tratta, il MoVimento ha già scelto i propri candidati presidenti in 4 delle 6 Regioni chiamate al voto.
Ad aumentare la tensione nel campo delle forze di governo il fatto che quelle di primavera saranno le prime elezioni in cui Italia Viva si confronterà con il consenso degli elettori e in Puglia guiderà l’alternativa moderata e liberale al candidato del Pd. Con queste premesse lo scontro sulla prescrizione rischia di essere solo l’antipasto di fibrillazioni sempre più forti per il Conte2.
Tuttavia, le maggiori novità riguardano il centrodestra. Se a livello nazionale nelle ultime 3 legislature i rapporti tra Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia sono stati contrassegnati da spaccature ( governo Monti, governo Letta, governo Conte 1), a livello regionale e territoriale la coalizione ha sempre mantenuto una sostanziale compattezza. Una solidità che, tuttavia, oggi sembra venuta meno: nessuno strappo in vista, ma tanta voglia di mettere in discussione certezze ed equilibri. Il braccio di ferro sulle candidature di Puglia e Campania è lo specchio delle pulsioni che attraversano il centrodestra. Da un lato Salvini che prova a prendersi uno spazio nel Mezzogiorno per dare ulteriore corpo e sostanza al progetto “nazionale” della Lega; d’altra Giorgia Meloni intenzionata a confermare la crescita di rilevanza del suo partito nella coalizione. Un duello sulle candidature a presidente, ma con un obiettivo chiaro: la leadership del campo sovranista. Importanti saranno anche i toni che il leader della Lega userà nella prossima campagna elettorale. Salvini riprenderà la grancassa sovranista, anti- migranti e populista oppure avvierà veramente quel percorso moderato che tanti vedono come il naturale approdo nel viaggio verso Palazzo Chigi?
A ben guardare, il segretario della Lega sembra non avere le physique du rôle del politico moderato e la gestione del caso Gregoretti ne è stata l’ultima conferma - ma, soprattutto, non sembra affatto interessato a far sfoggio di moderatismo. Trump, in fondo, continua far scuola: quel tipo di leadership ha nella sua radicalità la propria forza. Ma, accanto a quel che Salvini vorrà fare, c’è quello che Salvini dovrà o sarà costretto a fare. E se in Toscana potrà riproporre la narrazione della liberazione della regione rossa, dei porti da chiudere e dei migranti da tener lontani dal nostro Paese con tanto di eccessi verbali e non solo, lo stesso non potrà fare in Veneto. Lì la Lega è ontologicamente forza di governo, una forza tranquilla e rassicurante. Ma il Veneto per la Lega è anche il ricordo del movimento delle origini, dei duelli tra la Liga Veneta e Bossi e una mai sopita rivalità. In Veneto, insomma, non ci sono citofoni da suonare e Luca Zaia farà di tutto per evitare di trasformare la sua Regione nell’epicentro della propaganda sovranista. A quelle latitudini la Lega vincente è ancora quella tradizionale e certi toni e alcuni atteggiamenti dell’ex ministro dell’Interno potrebbero allontanare pezzi di elettorato. Serviranno allora due Salvini per nascondere che la Lega non è quel monolite politico narrato in questi anni anche perché quel pezzo di Carroccio non si è rassegnato fare da comparsa.