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Assai più delle fake news delle promesse mirabolanti e irrealizzabili sparate a raffica da partiti e movimenti, delle frottole sul candidato premier e della fola sul 40 per cento di voti che garantirebbe la maggioranza assoluta ( ci vorrebbe anche il 70 per cento si seggi uninominali che nessuno guadagnerà), il virus tossico che rende poco trasparente la competizione del prossimo 4 marzo e confonde le idee agli elettori è il non detto sul “dopo”. Comunque la si rigiri, infatti, la legge Rosato non garantisce la vera posta in palio dei sistemi democratici, cioè la governabilità. E la scappatoia che i giochi si fanno appunto “dopo” la chiusura delle urne è l’ennesimo imbonimento. Se si preferisce: un inganno. Nella prima Repubblica, il perimetro della governabilità era ristretto ad alcuni ben individuati partiti: le elezioni servivano a stabilire i rapporti di forza tra di loro, il resto era schermaglia ideologica. Adesso gli steccati ideologici non esistono più e, cancellato il bipolarismo all’insegna del “o di qua o di là”, sulle alleanze si gioca a tutto campo. Per questo risulterebbe fondamentale che le forze politiche indicassero ai cittadini con chiarezza e onestà intellettuale quali intendimenti abbiano su maggioranze e governi possibili. Succede esattamente il contrario: a chi pone la questione si risponde che è un tema che fa perdere voti. Meglio, perciò, continuare ad abbaiare alla luna.
L’ipotesi di un “governo del Presidente” rilanciata da Massimo D’Alema - cui non si può negare lo sforzo di indicare una prospettiva per il dopo - appartiene alla categoria di cui sopra. Nel senso che il non detto concerne la probabile destrutturazione degli schieramenti una volta chiuse le urne. Altro non detto è che ben difficilmente il governo potrebbe continuare ad essere capitanato dall’attuale nocchiero. Per non parlare delle sorti di chi guida il Pd. Ma andiamo con ordine. La campagna elettorale dei tre maggiori partiti ha in comune un identico messaggio: votateci per farci governare da soli. Il non detto è che si tratta di una bubbola: quel traguardo è irraggiungibile salvo risultati a tal punto sbalorditivi da non rappresentare una semplice sorpresa bensì un rivolgimento copernicano. Dunque le alleanze sono uno sbocco necessitato. Quali, esattamente? Dalle urne, secondo i sondaggi ( ultimo quello del Corriere di ieri), potrebbe emergere come vincitrice, ma senza maggioranza, la coalizione di centrodestra. Che raggranelli più voti di tutti è possibile; che governi viste le enormi differenze interne, è roba da acrobati. In ogni caso se i numeri non bastano bisogna allearsi. Con chi? Mistero: non detto.
Stesso discorso per gli altri due competitor. Da settimane Luigi Di Maio si sgola per pretendere l’incarico da Mattarella e poi pescare «chi ci sta». Maliziosamente, si potrebbe osservare che pure quello del candidato premier grillino nient’altro sarebbe che una variante di governo del Presidente, con l’aggravante di non indicare i possibili compagni di viaggio. Infatti: chi ci potrebbe stare? LeU o La Lega ( anche qui: non ci sarebbero i numeri)? O il Pd? Se, per assurdo, Berlusconi dicesse: ok, va bene, il leader pentastellato accetterebbe? Insomma una spessa cortina fumogena diffusa per stordire gli elettori: i propri e quelli altrui. A confondere ancor più le acque è arrivato ieri Beppe Grillo: la “purezza” M5S non si tocca, ergo niente alleanze. Cioè è il non detto - niente governo, opposizione a vita. Chissà se agli elettori grillini va bene così.
Quanto al Pd, le intese post voto risulterebbero ultra obbligate visto che sempre i sondaggi danno il centrosinistra in terza posizione. Però Renzi dice no a larghe intese con FI ( e con chi allora: col MoVimento?) e il ministro Delrio conferma: mai con la destra, e con LeU vedremo. Solo questi due partiti assieme, anche nella versione più larga, alla Camera avrebbero la miseria di 178 seggi: 139 in meno del necessario. Un abisso.
Il governo del Presidente, o come lo si voglia chiamare, è nient’altro che il superamento di questo stallo che minaccia di diventare un lago di sabbie mobili in cui il sistema Italia può affondare. Si tratta solo di capire chi lo appoggerebbe. Gli italiani gli sapranno solo “dopo”. Piovono preoccupatissimi allarmi sul fatto che la diserzione dalle urne sarà alta come non mai. Ma chi comprerebbe un’auto costretto a sapere se cammina o no solo dopo che l’ha comprata?