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Roberta Bruzzone, criminologa
Roberta Bruzzone, psicologa forense e criminologa, ha avuto modo di studiare approfonditamente il caso dell’omicidio di Simonetta Cesaroni a cui ha dedicato un capitolo del libro edito Mondadori: “Chi è l'assassino. Diario di una criminologa”.
Dottoressa Bruzzone che profilo ha secondo Lei l’assassino di Simonetta Cesaroni?
Un soggetto maschile a cui, evidentemente, non si poteva dire di no. Ma Simonetta non lo sapeva quando l’ha incontrato in quell’ufficio in cui si muoveva con silenziosa discrezione da qualche tempo. Di quello che è successo il 7 agosto sappiamo quasi tutto almeno fino a quando Simonetta varca la soglia dell’ufficio dell’Aiag. Poi dopo le 23 verrà ritrovato il suo corpo, ormai privo di vita: giaceva a terra seminudo, martoriato da 29 colpi inferti con un’arma da taglio a superficie bitagliente. Impossibile smettere di sperare nella svolta decisiva perché non esistono delitti perfetti, solo delitti impuniti, anche se ritengo che oggi sia estremamente difficile arrivare alla soluzione del caso ed assicurare alla giustizia “IL” vero colpevole.
Come si presentava la scena del crimine?
La scena del crimine, una delle stanze degli uffici dell'AIAG, appariva piuttosto ordi- nata. L'assassino, con ogni probabilità, ha svestito la vittima ( ormai priva di sensi) prima del massacro e ha portato via con sé i fuseaux, gli slip e la camicetta di Simonetta. La ragazza non ha potuto neppure tentare di difendersi perché non si aspettava un simile epilogo. Al momento del ritrovamento, infatti, indossava esclusivamente il reggiseno rosa “a balconcino” e i calzini. Il top di cotone bianco è stato appoggiato di traverso sul ventre. In un’altra stanza, quella occupata solitamente dalla giovane per l’inserimento dati, c'è anche la borsa di Simonetta, dalla quale sono stati portati via tutti i soldi. La ragazza non ha però subito violenza sessuale anche se si tratta chiaramente di un omicidio di matrice sessuale. L’aggressore non è riuscito a violentarla e, in un crescendo di rabbiosa frustrazione, ha usato un’arma da punta e taglio per violarla nella maniera più feroce possibile.
Perché secondo lei non è riuscito a violentarla? Per impotenza, per la concitazione?
Accade spesso che durante un'aggressione sessuale l'offender non riesca a raggiungere un'erezione sufficiente per penetrare la vittima e quindi utilizzi degli oggetti in sostituzione. In questi casi vengono inferte alla vittima numerose ferite da punta, in particolare, che rivestono, sotto il profilo simbolico, valenza sostitutiva rispetto al rapporto sessuale vero e proprio. Quasi sempre poi, in questi casi, le ferite interessano zone specifiche, come il volto, il seno e l'area genitale della vittima. Sono chiari elementi che consentono di considerare l'omicidio di matrice sessuale. Ed è esattamente ciò che è accaduto anche nel caso della povera Simonetta.
Le 29 coltellate hanno attinto la giovane anche alla giugulare, al cuore, all'aorta, al fegato oltre all’area genitale. Come mai così tanta violenza? Ha riversato su di lei tanta rabbia: un amore non corrisposto?
Non parlerei di amore non corrisposto ma di rifiuto sessuale, molto più probabilmente. Il soggetto evidentemente non si aspettava tale rifiuto e la risposta ricevuta da Simonetta ha generato in lui una enorme frustrazione. Da qui la decisione di colpirla mentre lei stava lasciando la stanza. Una volta resa inerme, l'ha spogliata e ha tentato di violentarla ma invano. Poi la decisione di colpirla ripetutamente per scaricare l'aggressività sessuale e, non ce lo dimentichiamo, per mettere a tacere una testimone che avrebbe potuto denunciarlo. La furia dell'assassino si è concentrata proprio sulle aree del corpo di Simonetta che maggiormente rappresentano il potere seduttivo femminile. Non si è limitato ad ucciderla, ha voluto annientarla e punirla nella maniera peggiore possibile.