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Tutto è nato da un voto, come sempre. L’esito non è stato quello voluto, d’accordo: ma si può sempre rimediare, no? In fondo siamo nella patria del modello Westminster, del bipartitismo, del the winner take it all, il vincitore prende tutto. Dopo un voto, ovviamente.
Così sono appunto andati ai Comuni e si son messi a votare in continuazione. Solo che più votano più le cose si ingarbugliano. Gli scrutini invece di chiarire, complicano. Che fare? Il solito: procedere con un altro voto che però produce il medesimo risultato. Ogni volta così. Ogni volta peggio.
La Brexit non è più un fatto politico- sociale. E’ diventato una dramma epocale, un labirinto nel quale tutti si perdono e nessuno ha più la bussola. Ma è anche la catastrofe del modello democrazia diretta, strumentalmente dispiegato alla stregua di una furbata per uscire dalle impasse e rapidamente trasformatosi in un buco nero capace di inghiottire tutto e tutti.
È cominciato con un referendum che ha aperto una voragine. Poi i Conservatori, che quella consultazione popolare avevano voluto per guadagnare consensi, hanno fatto la fine del piccolo chimico: il risultato è scoppiato loro in mano e sono rimasti ustionati.
Beh, ma c’è sempre il Parlamento, no? Quello con la Torre e il Big Ben: che però non suona perché è in restauro fino al 2021: poco importa, a quel punto della Brexit non si sarebbe dovuto ricordare più nessuno. E invece no. Imboccato il tunnel del Leave, non si è più capito l’uscita vera dove fosse. E’ lì che è cominciata la ridda dei voti alla Camera bassa. Con la premier Theresa May a far la spola tra il Tamigi e Bruxelles, tornando puntualmente carica di proponimenti che altrettanto puntualmente i suoi colleghi Tories, bocciavano. Voti su voti, anche di fiducia. Qualcuno come un salvagente: quelli che mantenevano il governo in carica. Altri devastanti: quelli che bruciavano le fragili intese con la Ue. Ad un certo punto la gente è scesa in piazza: per chiedere un voto, che altro? La più grande manifestazione da decenni organizzata per reclamare un referendum bis. Peccato che nuovo voto, nuove grane. Il laburista Corbyn prima dice no, poi ancora no, poi infine sì. Annuncia una mozione in Parlamento che appena presentata viene subito ritirata.
Intanto il pallottoliere si infuoca: altri voti e altre bocciature.
Il viluppo politico si fa inestricabile. La May insiste, la Ue pure, nessuno sa più come finisce. Tanto per cambiare ieri a Londra si è votato un’altra volta, e oggi si fa il bis.
Tanti voti, zero soluzioni. La CBI, la Confindustria britannica, è lapidaria: «Il Parlamento fermi questo circo». Goodbye England.