PHOTO
Luca Poniz, magistrato
Riforma della separazione delle carriere e sciopero dell’Anm. Ne parliamo con Luca Poniz, già presidente dell’Anm, esponente di AreaDg.
Chi critica il vostro sciopero sostiene che un “potere dello Stato” stia scioperando contro il Parlamento. Come risponde?
Che un potere dello Stato si confronta con chi in questo momento sta mettendo a repentaglio le fondamenta di quello stesso potere dello Stato. Un potere che non difende sé stesso ma le prerogative dell’interesse dei cittadini. Per questo lo sciopero non soltanto è legittimo, ma doveroso.
A proposito di cittadini: un sondaggio Demos sostiene che vi considerino sempre di più toghe politicizzate.
Non sono sorpreso da questo sondaggio, considerato che da 30 anni persino alte cariche dello Stato cercano di dare questa rappresentazione della magistratura. Lo sostiene il ministro della Giustizia e persino la premier: potrebbe forse la cittadinanza formarsi un’opinione diversa dinanzi a tutto questo? Anche il vostro giornale è in testa in questa campagna di narrazione di noi toghe politicizzate, come lo è l’Ucpi, che – proprio sulla base di tale “assunto” sostiene una riforma apparentemente “solo” ordinamentale, ma che tale certamente non è. In realtà qualcuno dovrebbe, prima di interrogarli con domande non di rado retoriche, spiegare ai cittadini come si giustifica questa urgenza della separazione delle carriere - presentata con l’almeno impropria etichetta di riforma della giustizia - cittadini che, soltanto due anni e mezzo, chiamati al referendum proprio su tale tema, hanno mostrato così poco interesse da far mancare il quorum. La politica non scomodi la volontà popolare, perché qui dietro c’è ben altro.
Però la maggioranza di chi è andato a votare disse sì alla separazione delle funzioni.
Evitiamo la contraddizione che vedo nella domanda: se lei mi parla di consenso popolare, e lo indica come ragione politica della riforma, allora fermiamoci al dato evidente che quel passaggio referendario attesta il poco interesse per il “problema”, complice anche la sua complessità tecnica. Oggi si rivendica l’urgenza della riforma in nome di un mandato popolare “pieno”, per attuare una separazione delle carriere in quanto indicata nei programmi elettorali. Io invece ritengo che gli elettori sappiamo ben poco della questione, e quello che conoscono è il frutto di una rappresentazione gravemente distorta della portata dei problemi e soprattutto delle loro pretese soluzioni.
Il 5 marzo Meloni incontro l’Anm. Non sarebbe stato meglio rimandare lo sciopero?
Quando il neo presidente Parodi ha chiesto l’incontro e la premier lo ha prontamente accettato, lo sciopero era stato già deliberato; credo fosse scontato che non si sarebbe revocato. Immagino che in quella importante occasione i nostri rappresentanti spiegheranno ancora meglio il senso dello sciopero di oggi. Certo, la dialettica tra le parti in questo momento è complicata ma sarebbe già importante riuscire a trasmettere i nostri timori relativi alla modifica dell’assetto dei poteri costituzionali e spiegare, se non fosse già chiaro, che il senso di questo sciopero non è una eversione, ma la rappresentazione di una profonda preoccupazione.
Il centrodestra ha parlato di sentenza politica su Delmastro e addirittura di segnale contro la riforma della giustizia.
Che qualcuno delle istituzioni possa parlare di una sentenza politica, emessa da giudici per finalità addirittura vendicative, è cosa talmente grave ed irricevibile, che se io fossi uno dei magistrati destinatario di quelle valutazioni reagirei sicuramente nel modo più fermo. L’aspetto stravagante da sottolineare, tra gli altri, è che le sentenze – per taluni - sono giuste quando sono assolutorie e soprattutto se vanno nella direzione auspicata (dalla politica) e sono invece “politiche” quando hanno esiti sgraditi, soprattutto se i soggetti coinvolti sono esponenti della classe politica. Già solo questo basta a dimostrare, in maniera evidente, le ragioni della nostra preoccupazione: ossia che in realtà il lavoro dei magistrati piace soltanto quando non contraddice, in un modo o nell’altro, le aspettative del potente di turno. Ed è proprio per questo che i cittadini dovrebbero avere chiaro qual è la vera posta in gioco, da taluno persino rivendicata: un potere giudiziario che si vorrebbe “allineato” alla politica.
Alcune indiscrezioni lasciano trapelare che da parte di Palazzo Chigi ci potrebbe essere un’apertura rispetto al sorteggio ma addirittura non fare più due Csm distinti.
A titolo personale, penso che questo ddl sia concepito e poi redatto così male che le possibilità di essere migliorato sembrano impossibili. Già l’idea stessa del sorteggio – in qualunque forma - è mortificante, considerato che stiamo parlando dell’unico organo di rilevanza costituzionale presieduto dal Presidente della Repubblica, che non avrebbe più i suoi membri eletti. Certo, non prevedere più due Csm distinti mi sembrerebbe forse il miglioramento più accettabile nella logica del mantenimento di un’idea unitaria e di giurisdizione quale noi difendiamo.
Non meno importante dovrebbe essere rivedere l’assetto dell’Alta Corte disciplinare, che presenta plurimi profili di criticità. Comunque è presto per confrontarsi sulle modifiche, prima dì averne compresa la portata. C’è, per ora, purtroppo un “respiro” di fondo profondamente sbagliato, sotteso a questa riforma, concepita in un contesto dove emerge chiaro il disegno di un “riequilibrio” dei poteri, altro che carriere. Però, se poi ci saranno aperture, ci misureremo con esse.