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C’erauna volta chi voleva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno; chi voleva sostituire le forme della democrazia rappresentativa con gli strumenti della democrazia diretta; chi ha provato ad aggirare la rappresentanza parlamentare durante il dibattito sulla legge di bilancio; chi ha evitato che il dibattito sul regionalismo differenziato si svolgesse in primo luogo in Parlamento; chi ha evocato i “pieni poteri”, rifiutando di presentarsi in Aula su questioni che toccano la sicurezza nazionale: bene, tutti costoro si sono dovuti ricredere ed hanno accettato ( o subìto) che la conclusione dell’esperienza del governo giallo- verde si consumasse in Senato.
Le forme della democrazia parlamentare, modalità con cui esercita nel nostro sistema la sovranità popolare, sono ancora una volta sopravvissute. Dopo un durissimo - inaspettato - intervento del Presidente del Consiglio contro il ministro Salvini, in un dibattito acceso gli interventi dei senatori hanno confermato la difficoltà della situazione. Tutti si sono rimessi nelle mani del Capo dello Stato; ma durante le consultazioni i partiti dovranno scoprire le loro carte: non basterà più dire che decide Mattarella.
Il dibattito in Senato e la prima giornata di consultazioni hanno sciolto qualche primo interrogativo. Oggi è difficile pensare che l’esperienza giallo- verde possa riprendere come se niente fosse, alle medesime modalità e con le medesime condizioni. Ed è altrettanto difficile ipotizzare che alle elezioni si possa arrivare con il governo dimissionario, nella composizione attuale: le accuse mosse al Ministro degli interni dal Presidente del Consiglio rendono impossibile questa soluzione.
Rimangono in piedi l’ipotesi di un governo elettorale, per portare il Paese alle elezioni il prima possibile, o quella di un governo pienamente politico, che abbia - almeno in via di principio - l’ambizione di durare tutta la legislatura ( il cd. governo istituzionale non può che avere o l’una o l’altra natura). Il governo elettorale sconta gravi difficoltà: quale partito potrebbe appoggiare un governo, che dovrà probabilmente effettuare una dura manovra finanziaria che eviti l’aumento dell’Iva, escludendo nel contempo l’apertura di una procedura di infrazione?
E se nessuno se la sentirà, per evitare di dover sopportare attacchi furiosi della Lega in campagna elettorale, potrà il Capo dello Stato affidare un incarico a chi è destinato a non avere appoggi in Parlamento? Si tratterebbe di un passaggio rischioso. E, allora, governo politico, basato su un accordo tra 5 Stelle e Pd, pur senza escludere la presenza o l’appoggio di altri partiti. Ma a quali condizioni? Occorrerà una discontinuità importante con l’esperienza precedente: se rimane il premier uscente, la compagine grillina dovrà mutare significativamente; altrimenti occorrerà individuare un nuovo nome ( oggi ogni indicazione è prematura, spettando al Capo dello Stato individuare il punto di equilibrio).
Il Governo, attraverso il Ministro degli interni, dovrà dimostrare che è possibile una seria politica di rinegoziazione in sede europea senza rinunziare ad una attività ragionevolmente severa di contenimento degli ingressi. Le linee di politica economica, europea e internazionale dovranno confermare le nostre tradizionali scelte di campo, garantendo politiche di sviluppo ( e i Ministri dare garanzie in questo senso). Le politiche delle infrastrutture, dell’ambiente e del territorio dovranno trovare un punto di incontro tra le posizioni del Pd e quelle dei Cinque Stelle.
Sulle riforme istituzionali ( la riduzione dei parlamentari rimarrebbe sul tappeto, ma sarebbe accettabile solo se accompagnata dalla riforma del bicameralismo; altrettanto vale per la democrazia diretta e per il regionalismo differenziato) e sulla giustizia ( su cui le critiche della Lega non sono da sottovalutare) bisognerà trovare un punto di conciliazione. Non è impossibile, ma è molto difficile, anche al netto della paura del voto.
Ogni scelta che verrà compiuta nei prossimi giorni richiede nervi saldi e mani molto ferme al timone: ne va del futuro del Paese, della sua collocazione in Europa e nel mondo.