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«Secondo questo Patto l’Europa è una fortezza, da tutelare da invasioni e minacce. Non c’è l’impegno ad aiutare le persone che vorrebbero esercitare un loro diritto: si ritrovano a rischiare la propria vita per farlo». Laura Ferrara, europarlamentare del M5S, non ne fa un mistero: il nuovo Patto su migrazione e asilo, che dovrebbe superare il regolamento di Dublino, non risolve i problemi. Anzi, finisce per peggiorarli, non solo lasciando ai Paesi di primo approdo l’onere dell’accoglienza, ma prevedendo anche un aggravio di spesa per i controlli pre- ingresso. La soluzione? «Sanzioni per chi non si dimostra solidale», spiega . E una rivoluzione delle politiche d’asilo su cui, per il momento, l’Ue appare sorda.
Cosa non la convince del nuovo Patto?
Ci sono diversi nodi da sciogliere, sui quali bisognerà lavorare molto nei prossimi mesi. Ci aspettavamo, soprattutto dopo l’annuncio fatto con grande enfasi dalla presidente Von der Leyen, che realmente vi fossero delle novità importanti, soprattutto per risolvere quelle difficoltà che hanno generato scontri accesi all’interno dell’Ue sulla gestione dei flussi migratori. Invece più si approfondisce questa proposta più si rimane delusi. Questo perché tra i criteri per l’individuazione del Paese responsabile per l’esame della domanda d’asilo resta quello del Paese di primo ingresso, che noi avevamo chiesto di abolire, di pari passo con la previsione di un ricollocamento automatico e obbligatorio dei richiedenti asilo. Invece non troviamo nulla di tutto ciò.
Il meccanismo di solidarietà non funziona, dunque?
Per quanto durante le audizioni la commissaria Johansson e il vice presidente Schinas abbiano detto che ogni Stato membro è obbligato ad attivarsi nel momento in cui un altro Stato faccia richiesta di sostegno per evitare pressioni eccessive, di fatto non sono previste delle sanzioni, qualora non si adempia al ricollocamento, alla sponsorship per i rimpatri o al sostegno economico. Quindi, di fatto, è un meccanismo facoltativo.
La pressione sui Paesi di primo ingresso, dunque, rimane con il rischio, però, di un aggravio di spesa per i controlli pre-ingresso previsti dal Patto. Oltre al danno la beffa?
Esatto. Viene introdotta una procedura di frontiera obbligatoria, con uno screening che richiede una serie di aggravi economici, per risorse umane e anche per la realizzazione di strutture adeguate per accogliere le persone che arrivano sul territorio. Abbiamo sentito dire, soprattutto negli ultimi tempi, di voler scongiurare, quanto più possibile, episodi simili a quelli accaduti nel campo di Moria, in Grecia, ma di fatto ci ritroviamo a discutere di un sistema che ricalca esattamente questo tipo di rischio. Perché se bisogna tenere o addirittura detenere delle persone fino a quando non viene effettuata la procedura di screening e, soprattutto, fino a quando non si avvia la procedura di frontiera per capire come procedere, allora passano mesi. È una situazione grave che ricadrebbe, in particolare, sulle coste del Sud.
Il piano non prevede nulla in termini di canali di accesso regolari. Ne chiedete la costituzione?
Di questo si dovrà parlare nel momento in cui partiranno i lavori del Parlamento sulla revisione della proposta arrivata dalla Commissione, con tutti gli emendamenti che verranno presentati. Ma di fatto, introdurre qualcosa che non è del tutto previsto nella proposta legislativa è difficile. Quando parliamo di vie legali di accesso all’Ue si dovrebbe creare un sistema del tutto diverso, potenziare i reinsediamenti e i rapporti con i Paesi di transito. Però, per ora, non c’è traccia di questo nelle proposte legislative. È stato annunciato che fino al 2023 arriveranno altre proposte e la commissaria Johansson ha anticipato che l’anno prossimo verrà presentata una proposta legislativa per canali regolari per migranti economici: ad oggi i canali di accesso regolare per chi arriva in cerca di lavoro sono inefficaci, c’è la cosiddetta “Blue card”, ma solo per persone altamente qualificate, selezionando drasticamente chi può beneficiarne.
Con una discriminazione per titolo d’istruzione, di fatto. Esatto. Quindi l’obiettivo è quello di ampliare tale possibilità anche a persone meno qualificate, in modo da avere canali legali per chi cerca lavoro.
Salvare vite in mare è però un obbligo per gli Stati. Il patto non dice nulla in merito alle operazioni di ricerca e salvataggio?
No, anzi, il vicepresidente Schinas ha sempre definito questo patto un edificio a tre piani e il primo step è proprio la protezione delle frontiere esterne. L’approccio è quello dell’Europa fortezza, da tutelare da invasioni e minacce, non quello di una tutela per persone che vorrebbero esercitare un loro diritto e, di fatto, si ritrovano a rischiare la propria vita per farlo. Il quadro, purtroppo, è a tinte fosche: è un punto che l’Ue non intende affrontare ed è chiaro che delega alle Ong o ai singoli Stati membri la gestione della situazione. Quando si concluse l’operazione Mare Nostrum e cominciarono le varie operazioni dell’agenzia Frontex fin da subito si capì che, a dispetto degli annunci, che parlavano di operazioni identiche ma a livello europeo, il mandato era totalmente diverso, tanto che da subito si cominciò a parlare di pattugliamento delle frontiere esterne. Il discorso delle operazioni di ricerca e salvataggio, che più volte è stato sollevato, anche nella passata legislatura, di fatto è rimasto un tema non affrontato da parte dell’Ue, nonostante i continui annunci sulla volontà di contrastare i trafficanti di esseri umani e la criminalità organizzata. C’è un vulnus: da un lato si riconosce il diritto d’asilo, a livello europeo, ma dall’altro non si dà la possibilità di esercitarlo, se non costringendo chi deve fuggire per guerre e persecuzioni a mettersi nelle mani dei trafficanti. Le vie legali d’accesso non sono mai di fatto istituite, ma richiederebbero una revisione davvero coraggiosa, cominciando a parlare di diritto d’asilo a livello europeo: chi lo ottiene dovrebbe essere libero di circolare sul territorio europeo come un cittadino europeo. Ma su questo evidentemente, ancora, non c’è alcuna volontà politica.
Che emendamenti proporrà il M5S?
Chiederemo un’equa ripartizione delle responsabilità tra tutti gli Stati membri, un ricollocamento automatico e obbligatorio, con l’abolizione del principio del Paese di primo ingresso, sanzioni, magari anche con una condizionalità rispetto ai fondi europei, per chi non adempie e non rispetta la solidarietà e la ripartizione delle responsabilità. Poi, per quanto riguarda la procedura di frontiera, un primo step potrebbe essere di renderla facoltativa, in modo da lasciare agli Stati membri la possibilità di valutare se adottarla in base a situazione specifiche. Questo velocizzerebbe le procedure, con minori costi e minori aggravi per gli Stati membri.