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«Quello che mi spaventa di più non è il virus quanto la distanza e la mancanza di comunicazione che possono crearsi tra di noi, ed è per questo che ho scritto La costellazione del dragone, nella speranza di creare dialogo e vicendevole comprensione». In linea con quella naturale vocazione di intermediario fra le culture cinese e italiana che lo ha portato nel 2016 ad essere insignito del Premio Internazionale Speciale Giovanni Falcone e Paolo Borsellino come «esempio di impegno di altissimo profilo professionale», lo scrittore e critico musicale Zhang Changxiao – noto anche con lo pseudonimo Sean White – ci regala, con il suo nuovo libro – apparso recentemente in libreria ed ebook per i tipi delle Edizioni Piemme – un viatico utile a sfatare stereotipi particolarmente radicati sugli usi e costumi del popolo cinese e, a un tempo, cancellare le ultime remore a un confronto quanto mai vitale e costruttivo. Changxiao, per arginare l'emergenza Coronavirus, la Cina sta collaborando con l'Italia in termini di condivisione di conoscenze, invio di mascherine, tute e altri dispositivi, di infermieri e medici. Trova che, nonostante le tensioni iniziali, da questo evento drammatico possa scaturire una maggiore vicinanza tra le due comunità? Anche se molti italiani guardano con diffidenza alla Cina o non sono d'accordo con le politiche del suo governo, trovo che a livello umano siamo molto vicini e possiamo avvicinarci sempre di più. Quando nel 2008 in Cina c'è stato un terremoto, l'Italia è stata tra i primi Paesi ad offrire aiuto. Ho parlato con una donna del Sichuan che ha vissuto quell'evento e lei mi porto 3.000 mascherine da donare all'Italia, non avendo mai dimenticato l'aiuto ricevuto anni prima. Mi sono molto commosso, di fronte a questo gesto. Oggi la storia si ripete a parti inverse e quanto sta avvenendo testimonia la grande vicinanza di entrambi i popoli. Come giudica la reazione tempestiva delle comunità cinesi in Italia di fronte alle prime avvisaglie di diffusione, nella nostra penisola, del Covid-19? Penso che la reazione delle comunità cinesi di fronte all'emergenza abbia dimostrato il rispetto che esse nutrono verso gli italiani. Innanzitutto, ben comprendendo la situazione che il virus avrebbe potuto causare, hanno chiuso molte delle attività gestite dai cinesi, che si sono messi volontariamente in quarantena, così come poi disposto dal governo. Alcuni cinesi hanno anche deciso di intervenire attivamente per portare il proprio contributo alla lotta al coronavirus, ad esempio donando mascherine e attrezzature mediche, offrendosi come volontari per tradurre e favorire la comunicazione tra italiani e cinesi o preparando del cibo per il personale che lavora instancabilmente ogni giorno negli ospedali. Io stesso, recentemente, ho chiesto ai miei amici cinesi aiuto per la situazione in Italia e ho ricevuto un enorme supporto, riuscendo a raccogliere fondi sufficienti per la donazione di più di 40.000 mascherine. Lei ha scritto che «a volte gli stereotipi semplicemente sono veri, ma non hanno il significato che voi gli avete già unilateralmente attribuito». Potrebbe approfondire? Per fare un esempio, si sente spesso dire che i cinesi si curino solo dei soldi e del lavoro. Penso che questo stereotipo fosse vero nel passato, per quanto riguarda le generazioni appena giunte qui e desiderose di lavorare instancabilmente al fine di mandare i propri guadagni alla famiglia rimasta in Cina. Al giorno d'oggi, possiamo notare che la situazione sta cambiando: le famiglie cinesi sono più integrate in Italia e, di conseguenza, i loro figli, cresciuti qui, conoscono e sono parte della cultura italiana, non affatto diversi dagli stessi coetanei italiani. Ascoltano Jovanotti, De Gregori, i Pinguini Tattici Nucleari, guardano film italiani come quelli di Checco Zalone e seguono influencer italiani come Chiara Ferragni. Un giorno sono stato a pranzo con Alfredo Mogol; il cameriere del ristorante era cinese ma parlava un italiano perfetto: se non avesse avuto gli occhi a mandorla, mai avrei pensato che fosse un mio connazionale! Il concetto di gūanxi è fondamentale per comprendere meglio la dimensione sociale intrinseca nella cultura cinese. Potrebbe spiegarne il significato? Questo concetto, che si basa sugli insegnamenti di Confucio, possiede, a mio parere, molti punti in comune con la cultura italiana. Le relazioni sociali sono di estrema importanza per i cinesi, ed è fondamentale sapere come comportarsi con il proprio interlocutore. Per i cinesi che vengono in Italia, ciò acquista ancora maggiore importanza, poiché giungendo in un Paese nuovo si possono appoggiare alla loro rete di relazioni. Se da un lato ciò rappresenta un grande aiuto per loro, dall'altro però può anche essere qualcosa che li limita nell'esprimere se stessi, facendo loro sacrificare la propria individualità per il gruppo di cui fanno parte. Penso che in Italia, soprattutto nel Sud, ci siano o siano esistite relazioni di questo tipo, in ossequio alle quali bisogna seguire tutta una serie di norme ed etichette per poterle mantenere salde e integrarsi al loro interno. Quasi il 90% dei cinesi che vivono in Italia provengono dalla regione dello Zhejiang. La nostra conoscenza della cultura cinese è, anche per questo, evidentemente parziale? Il motivo per cui un numero così cospicuo di cinesi stanziato in Italia proviene dal Zhejiang è riferibile sempre al concetto di gūanxi: molte persone sono giunte da quelle zone appoggiandosi a chi era già arrivato qui e portandovi a loro volta le proprie famiglie. In Cina, la gente del Zhejiang è considerata molto dedita al lavoro e agli affari, perciò, in una certa misura, si può dire che è questo aspetto che gli italiani si sono principalmente ritrovati a conoscere dei cinesi. La Cina, in realtà, è un Paese molto vasto, e ovviamente comprende stili di vita completamente diversi a seconda del luogo in cui ci si trova. Ad esempio, la provincia dello Shandong, da cui io provengo, ha una mentalità più improntata alla cultura, essendo anche la terra natale di Confucio, mentre, appunto, la gente del Zhejiang è più pratica e orientata agli affari: per questo sono soprannominati zheshang, che significa "business man dello Zhejiang" .Cosa rappresenta il lavoro per il sistema valoriale cinese? E, a contatto con altre culture come la nostra, anche il modo in cui esso viene vissuto si sta modificando? Il lavoro è stato ed è tuttora una parte importante della vita di ogni cinese. È un concetto che nella cultura cinese ha subito dei cambiamenti nel corso del tempo. Inizialmente, i cinesi che giungevano qui si dedicavano al lavoro in fabbrica per sopravvivere ma, in seguito, esso è diventato anche un modo sia di realizzarsi e raggiungere i propri sogni, sia di garantire un futuro migliore alla propria famiglia. Ora anche i cinesi vanno in vacanza, e i loro figli inseguono sogni del tutto simili a quelli dei coetanei italiani, come fare il cantante, l'attore, l'artista, il politico, persino diventare presidente d'Italia! Lei sostiene che la vera fusion – nel senso di scambio culturale fra i popoli cinese e italiano – stia in realtà già avvenendo. Quali sono, a suo avviso, i passi ancora da compiere verso una piena integrazione? In Cina abbiamo un detto che può essere tradotto a grandi linee come "una mano sola non può applaudire". Ciò mi fa pensare che non possa essere solo una parte a realizzare l'integrazione, ma debbano entrambe compiere dei passi l'una verso l'altra. Il fusion è già in atto e penso in futuro progredirà ulteriormente, facendo sì che ognuno di noi impari dall'altro. La differenza culturale continuerà ad esistere, ma deve cambiare l'approccio: vederla non come un ostacolo, ma anche e soprattutto come una ricchezza. Penso che il Canada possa costituire un buon modello di integrazione: vi abitano molti cinesi che, quando muoiono, desiderano essere sepolti lì e non venire riportati in Cina. Questo significa che hanno gettato lì le loro radici e credo che in futuro accadrà lo stesso anche per l'Italia.