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Incontro Loretta Malan, direttrice dei Servizi di inclusione della Diaconia Valdese, alla stazione di Roma Termini, mentre si prepara a tornare in Piemonte dopo una serie di incontri nella capitale.
«La Diaconia corrisponde in qualche modo alla Caritas della Chiesa Cattolica, è il braccio esecutivo della Tavola, l’organo di rappresentanza delle chiese metodiste e valdesi. I Servizi di inclusione si occupano di tre attività: accoglienza degli immigrati attraverso progetti istituzionali o finanziati da privati, contributo alla soluzione dei problemi di disagio abitativo e gestione di otto sportelli, distribuiti sul territorio nazionale, che offrono servizi di orientamento e di supporto per attività di aggregazione.
Dove siete attivi?
Soprattutto in Piemonte. Gestiamo centri di accoglienza a Torino, Pinerolo e Torre Pellice, che è una sorta di capitale delle valli valdesi. Ma siamo presenti anche a Milano e Roma, abbiamo una collaborazione con il comune di Trezzano sul Naviglio. In Sicilia gestiamo un centro di accoglienza a Vittoria, nel ragusano, e a Firenze un altro per minori.
Come valuta le trasformazioni in corso nel settore dell’accoglienza dei migranti?
Il passaggio dagli Sprar ai Siproimi ha causato parecchi problemi. Dopo l’approvazione dei decreti Salvini, nel novembre del 2018, le persone accolte non possono più avere i permessi di soggiorno umanitari, che sono stati aboliti. Ci sarebbero i nuovi permessi denominati speciali, ma durano poco, un anno soltanto, e sono così speciali che non vengono rilasciati quasi mai. Le persone alle quali non sono stati rinnovati i permessi umanitari sono finite per strada, sono divenuti irregolari, senza nessuna forma di supporto sociale. Molto vulnerabili, preda di organizzazioni malavitose. I rimpatri sono impossibili, sia per motivi economici che per la mancanza di accordi bilaterali.
Quindi cosa succede?
A fronte di un decreto chiamato sicurezza abbiamo ottenuto l’effetto opposto. Inoltre abbiamo interrotto per molte persone un percorso di integrazione, in alcuni casi anche molto avanzato.
Che cosa è importante in questo percorso?
Soprattutto l’apprendimento della lingua. Le prefetture promuovono dei progetti in tal senso e i comuni li gestiscono. A volte con solo 6/ 8 ore settimanali di lezione, che sono troppo poche. Noi affianchiamo queste attività con nostri insegnanti, per arrivare almeno a 12/ 15 ore settimanali, con le quali in sei mesi di frequenza un immigrato arriva a esprimersi nelle frasi basilari. In un anno comincia a padroneggiare la lingua ed è in grado di iniziare a lavorare o a seguire corsi di formazione.
Tutti gli immigrati hanno il permesso di lavorare il Italia?
Due mesi dopo aver avanzato la richiesta i richiedenti asilo possono lavorare. Trascorre un anno dalla richiesta alla prima convocazione da parte della commissione e in caso di esito negativo è possibile fare ricorso. Può darsi che dopo tre anni trascorsi come richiedente l’asilo non venga concesso e una persona già integrata, con casa e lavoro fisso perda tutto. Si ritrovi per strada in stato di illegalità.
Quante sono queste persone? Come vivono?
Fare delle stime è difficile. Si calcola che in Italia ci siano mezzo milione di persone senza un titolo legale di residenza. Vivono di espedienti, finiscono in una condizione di semi schiavitù, dall’accattonaggio al caporalato. Allo spaccio. Non esistono strumenti legali per sostenerli.
Cosa sarebbe necessario fare?
Sicuramente una sanatoria a favore di chi è integrato e lo può dimostrare. Vanno poi modificate le politiche di ingresso nel nostro Paese. Non ci sono più visti per lavoro, o almeno ne sono esclusi tutti i paesi interessati dal fenomeno migratorio. Persone che hanno la possibilità di pagarsi il viaggio e avrebbero un lavoro assicurato finiscono in mano a trafficanti e scafisti. Noi valdesi accogliamo alcune centinaia di persone che sono arrivate in Italia attraverso i corridoi umanitari organizzati dalla Comunità di Sant’Egidio, lo facciamo attingendo ai fondi che ci arrivano dall’ 8 per mille. In due anni gli immigrati sono tutti perfettamente integrati.
Qual è il problema più grave da affrontare, in tema di immigrazione?
Penso il peggioramento della situazione culturale. Molti si sentono autorizzati a esprimere sentimenti xenofobi e razzisti che prima coltivavano di nascosto. Si sta facendo una guerra tra poveri, la paura dello straniero cattivo non esiste: una volta che le persone si conoscono, quando si trovano a vivere insieme, tutte le problematiche si sciolgono. C’è una narrazione sbagliata che suscita il timore di vedere consumato il poco welfare che c’è.
Che rischi comporta questo?
Lo smantellamento di un sistema di accoglienza che cominciava a funzionare, con la perdita di 35.000 posti di lavoro e la scomparsa di una ricchezza della quale abbiamo bisogno. I flussi umani continueranno e vanno gestiti, per questo occorrono gli strumenti adatti, smettendo di operare in un contesto emergenziale e costruendo invece un sistema strutturato per persone che si spostano, come la modernità consente di fare. E tutto questo va concordato e reso efficiente a livello europeo.