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Nicola Zingaretti con Dario Franceschini, ex ministro dei Beni culturali e ora deputato del Pd
Non c’è più ragione di chiedersi dove sia finito il Pd, che cosa faccia Zingaretti e quale futuro attenda la sinistra italiana. Inutile lambiccarsi il cervello e cercare quel che non c’è. La risposta l’ha data il più democristiano ( l’aggettivo non suoni ingiurioso) degli imprenditori politici del Pd, Dario Franceschini.
Il ministro della Cultura, al pari della ministra della Scuola ( la pentastellata ombra della sua penombra Lucia Azzolina) porta la responsabilità di un’azione devastatrice contro biblioteche, archivi e scuole. Amaramente bisogna dire che mai la destra che ha governato questo Paese si era spinta a tanto in questi tre mesi di pandemia.
Con la recente proposta ( estendere a Comuni e Regioni la collaborazione con Cinquestelle), Franceschini rischia di replicare una vecchia ambizione del suo corregionale Italo Balbo: ferrarizzare l’Italia. Al pari di Francesco Boccia, il capo della delegazione diessina al governo è un politico che lascia qualche dubbio sull’esatta conoscenza di come funzionano, cioè che cosa siano, i luoghi dove si fa ricerca e insegnamento. Mi chiedo se sia il caso di ricordare quanto ha scritto anni fa uno storico dell’arte come Tomaso Montanari, cioè gli esiti ministeriali disastrosi di chi ha dietro di sè il deserto e celebra la politica come mero potere.
Dopo tre mesi di sequestro- ad opera del governo, dagli strumenti elementari della ricerca dobbiamo chiederci come possa essere considerato assembramento o vettore di contaminazione virale selezionare un libro o un documento su uno schedario cartaceo o su un computer, e consultarlo su un tavolo spazioso e comunque tenuto ben distanziato a Roma presso l’Archivio Centrale dello Stato o presso la Sala Borsa di Bologna. Sbarrare l’accesso alle carte di archivio, alle biblioteche, e ai musei è stata un’azione impensabile. A noi studiosi è suonata come oltraggiosa per la stessa dignità della cultura. Analogamente si potevano trovare alternative alla privazione dell’insegnamento di milioni di ragazzi. A cominciare dal sopperire alla docenza personale, cioè fisica, dedicando alla formazione dei più giovani un qualche canale televisivo e radiofonico. Anche il ministro degli affari regionali, Francesco Boccia, soffre della stessa sindrome statocentrica e repressiva ( in nome della prevenzione, ovviamente). Da mesi cerca di omologare le ( diversissime) condizioni sanitarie delle Regioni per imporre comportamenti uniformi. Fino alla recentissima, acrobatica, trovata di reclutare sessantamila apostoli per esercitare non si sa bene quale moral suasion.
Ma è il governo nella sua interezza ad avere cercato di celebrare la superiorità della società politica sulla società civile. Come spiegare diversamente la pretesa che chi spende un milione al giorno per mantenere in vita un’azienda decotta come l’Alitalia possa insegnare il loro mestiere ai professionisti della balneazione, delle pasticcerie, della ristorazione, della cura dei capelli, del trasporto ferroviario ed aereo, eccetera? Per trovare qualcosa di ( quasi) simile bisogna tornare alla cultura pedagogica della grande Destra storica dopo l’unificazione nazionale.
Purtroppo anche la sinistra ( da Zingaretti a Renzi e Speranza) è figlia del suo passato che si riassume nell’anti- riformismo socialista. La loro cultura è quella dell’avversione per il mercato, anzi per la libera iniziativa privata, in nome dello statalismo e della centralizzazione delle decisioni, dei più minuti controlli burocratici. Nessuno si meravigli se la passione indefessa per l’uniformità, l’ossessione di creare un popolo assuefatto alla disciplina, cominci ad essere scambiata come la premessa per creare un prassi da regime. Del conformismo e della mancata differenziazione di comportamenti e norme ( territorio per territorio) hanno bisogno i dispotismi, grandi e piccoli. Credo che mai la sinistra italiana, mettendosi ad eguagliare i Cinquestelle, abbia espresso un tale livello di insussistenza.
Oggi il ministro Franceschini proclama le virtù di un’alleanza organica tra il suo partito ( il Pd) e quel che resta del naufragio del grillismo. Zingaretti tace, abbozza, lascia fare. E’ sempre immerso nel pronunciare minestroni lessicali infarciti di vaghe e noiose promesse. Ma è lui ad avere promosso Conte come «il punto di riferimento fortissimo di tutti i progressisti». Potrebbe dirci quando e quali delle leggi approvate- insieme a Di Maio e a Salvini -_ che il Pd ha bollato come “vergognose”; “liberticide” - sono state modificate? Quando mai si è tentato di cambiare i decreti sicurezza, la legge spazzacorrotti, la quota 100, il reddito di cittadinanza, troncare gli ammiccamenti ai cinesi, schierarsi a favore del Mes, eccetera? E che pensare del miracolo per cui Zingaretti dopo circa duecento giorni ha finito per fare propri gli aborritissimi decreti Salvini sui migranti? Almeno avesse il coraggio, oltrechè lo stile, di dare una spiegazione di questi salti della quaglia.
Ora Franceschini si spinge fino al punto di fare di necessità ( il governo con i grillini) una virtù straordinaria: cioè che «l’intesa di governo tra il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle debba sfociare in un’alleanza permanente». Che ne pensano di questa linea politica non decisa dalla Direzione del partito ( che non si riunisce da mesi) personaggi di un’altra sinistra come Amendola, Gualtieri, Gentiloni e Orfini?
* ordinario di Storia contemporanea