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Il capitale politico circolante è da tempo esausto. Privato di credito e di credibilità ha ridotto il suo patrimonio netto. I cittadini hanno l’anima in pace, il loro capitale di rischio è perduto, l’investimento è andato a male. La situazione è tale che neppure la retorica della democrazia diretta riempie le urne. È il suggello della disaffezione crescente a questa involuzione del sistema democratico. Il saccheggio istituzionale ha attualizzato passività che sovrasteranno le prossime generazioni asfissiandone le potenzialità di crescita. Lo sperpero e la dispersione del patrimonio materiale e immateriale dell’umanità ha impoverito le società future.
La questione non è cosa fare ma come fare. Molti dei problemi fondamentali della convivenza civile sono discussi con proposte bizantine, tutte evocative di un riformismo di facciata, coltivatrici dell’insipienza che ha condannato gli ultimi lustri.
La Repubblica italiana ( e già il Regno d’Italia) ha conservato uno sguardo strabico su alcune funzioni del Paese verso le quali le istituzioni pubbliche e private hanno metabolizzato una sostanziale transigenza di comodo che ne ha fatto delle zone franche dalla morale pubblica, salvo brandire l’arma dell’indignazione dinanzi a fatti globalmente intollerabili.
Se è l’esercizio delle funzioni a fare l’organo, dietro ogni crisi istituzionale e gestionale v’è un difetto di idee, progetti, iniziative, mentre i vuoti di potere sono meccanicamente riempiti con altri poteri.
Senza replicare le considerazioni sulla nuova distribuzione nazionale che vede il protagonismo di alcune aree socioeconomiche e di alcuni poteri su altri, rileva osservare come l’Europa delle Nazioni, dopo avere promosso la fase dell’auto responsabilità, ha avviato una nuova era. Allo stato delle cose, occorre confidare sul ruolo garante delle Istituzioni europee e dei Paesi membri.
Il cittadino, istigato contro la matrigna Unione europea, deve rieducarsi a considerare cosa sarebbe accaduto senza la «remora» europea. Il ruolo del grillo parlante è da sempre reietto, tanto più se si perseguono intenti malcelati non commendevoli, ma l’assenza di quel ruolo libera la mala coscienza da ogni giudizio e, quindi, dall’argine a ogni forma di deriva. L’era dell’auto- responsabilità europea non ha dato buona prova di sé, e ciò è proprio di un’epoca che ha smarrito la sua dimensione ideale o, in senso laico, spirituale. Ma è in essere un palese conflitto tra lo spirito animale del mercato, di per sé tendente alla sopraffazione, e il crescente autoritarismo istituzionale. Tale conflitto comprime le istituzioni rappresentative in una morsa che le rende inadeguate nella funzione e nell’azione. A questo processo in atto da qualche tempo ha contribuito l’abbandono dei luoghi di selezione del personale politico. Senza il «vivaio» prevalgono le ragioni delle forze individuali o dello spontaneismo istintuale e reattivo. È in gioco il ruolo del costituzionalismo eroso da una prassi diffusa decostituzionalizzante. L’anima popolare della Costituzione è stata svilita da un elitarismo oligarchico radicato nella beffa al popolo del populismo. Un autentico imbroglio culturale, una simulazione democratica nella dissimulazione revisionista. Occorre un processo di ricapitalizzazione della politica circolante. Il nuovo debito dovrà essere contratto con un popolo nuovamente disposto a dare credito alla classe dirigente.
*Ordinario di diritto privato