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Il dato più rilevante della Conferenza internazionale di Berlino sulla Libia è che essa si è svolta. Non era affatto scontato che ciò accadesse dopo soli sette giorni dalla tregua del 12 gennaio e soprattutto non era affatto detto che gli Stati a vario titolo interessati fossero tutti presenti al massimo livello politico istituzionale. Russia, Turchia, Francia, Egitto, Gran Bretagna, Italia e Algeria hanno partecipato con i rispettivi capi del potere esecutivo: Putin, Erdogan, Macron, Al Sisi, Johnson, Conte, Tebboune. Libia, hanno scritto “tregua” sulla sabbia
Il dato più rilevante della Conferenza internazionale di Berlino sulla Libia è che essa si è svolta. Non era affatto scontato che ciò accadesse dopo soli sette giorni dalla tregua del 12 gennaio e soprattutto non era affatto detto che gli Stati a vario titolo interessati fossero tutti presenti al massimo livello politico istituzionale.
La Russia, la Turchia, la Francia, l’Egitto, la Gran Bretagna, l’Italia, l’Algeria vi hanno partecipato con i rispettivi capi del potere esecutivo: Putin, Erdogan, Macron, Al Sisi, Johnson, Conte, Tebboune. Per Stati Uniti, Cina, Emirati Arabi erano presenti uomini di vertice quali il segretario di stato Pompeo, il direttore degli affari esteri Yang Jiechi, l’emiro Al Nalyan. Tutti sono rimasti seduti per cinque ore attorno al tavolo, ospiti della attivissima Cancelliera Merkel, sotto l’occhio vigile dei vertici delle organizzazioni internazionali: il segretario generale dell’ONU Guterres, la presidente della Commissione Europea Van der Layen, il presidente della Unione Africana Mahamat, il segretario della Lega Araba Abul Gheit. Con siffatta parata di stelle della politica mondiale impegnate in prima persona era impensabile che la conferenza naufragasse in un nulla di fatto. I primi a saperlo erano i due contendenti libici, il tripolino Sarraj e il generale della Cirenaica Haftar, che hanno fatto precipitare la Libia nella guerra civile. Entrambi erano a Berlino ma non si sono incontrati e nemmeno visti, non sedevano al tavolo della Conferenza di pace, non hanno rilasciato dichiarazioni e men che meno firmato documenti.
Insomma, due convitati di pietra che hanno dovuto fare buon viso a cattivo gioco e non hanno né contestato né approvato le decisioni prese. Che poi siano davvero disposti ad accettare i 55 punti del documento finale e a comportarsi di conseguenza, è tutt’altro discorso. Ciò vale in primo luogo per il generale Haftar che ha scatenato l offensiva contro il governo Sarraj riconosciuto dall ONU.
Probabilmente il generale nominerà, seppur a malincuore, i suoi cinque componenti del comitato militare libico di dieci membri che, sotto il controllo del Palazzo di Vetro, dovrà garantire la fine delle ostilità. Ma cosa faranno le sue milizie armate composte per lo più da mercenari che vivono grazie alla guerra ( e non è un gioco di parole!) da almeno un decennio, dalla fine di Gheddafi. E saranno davvero chiusi i canali internazionali che hanno finanziato e rifornito di arsenali militari gli eserciti dei due fronti?
Salvo colpi di scena, al momento improbabili, si impegneranno in tal senso gli stati come la Turchia e la Russia che sono scesi apertamente in campo, e non solo con il sostegno diplomatico, dell’uno o dell’altro tra i belligeranti libici. Ankara e Mosca hanno acquisito un ruolo di primaria importanza nel complesso scacchiere arabo e mediorientale ( si pensi alle vicende siriane) e non hanno alcun interesse a disattendere gli impegni presi a Berlino, frutto anche del loro peso politico e militare. Della influenza turca nel mar Mediterraneo non si parlava dalla fine dell’impero Ottomano e Mosca non era così attiva nel Mare nostrum dal crollo dell’impero sovietico. Da Ankara non è giunto alcun commento sul documento berlinese; del resto la tregua garantisce che il ' governo amico di Sarraj' rimanga al suo posto. Quindi per ora va bene così.
Una vecchia volpe come il ministro degli esteri russo Lavrov, da sedici anni a capo della diplomazia moscovita, ha parlato con ironia di ' piccoli passi avanti anche se non c'è alcun dialogo tra i belligeranti'. Come dire: dal nostro protetto Haftar non si può più prescindere, quindi per ora bene così.
Sarebbe interessante sapere se analoga momentanea soddisfazione si nutre anche nelle stanze del potere degli Emirati Arabi, i più impegnati nel fornire armi ad Haftar e i più restii ad accettare il documento di Berlino. Purtroppo è pressoché impossibile riuscirvi, data la assoluta opacità delle decisioni degli Emiri che non devono certo rispondere alla pubblica opinione. Nel mosaico di interessi della Libia anch’essi possono godere di un vantaggio, ad esempio se ' il fratello generale Haftar' dovesse prolungare il divieto di esportazione del petrolio estratto nei territori libici sotto il suo controllo... Occorrerà quindi attendere qualche tempo per sapere se la tregua ha un fondamento o se è stata scritta... sulla sabbia del deserto.
Infine una considerazione relativa all’Italia. Se la tregua si consoliderà, sarà inevitabile, per stabilizzare il Paese, inviare in Libia, sotto l’egida dell’ONU, un contingente militare di pace e mettere in conto che debba restarvi a lungo, come accaduto in Libano. In tal caso il nostro governo dovrà impegnarsi perché all’Italia sia riconosciuto un ruolo di primo piano. Le nostre Forze Armate hanno dimostrato di essere all’altezza del compito e nella storia della Libia l’Italia è sempre stata presente. Non riuscirvi o, peggio ancora, rinunciarvi a priori per non correre rischi sarebbe per il presidente del consiglio una figuraccia assai peggiore della affannosa ricerca di un posto in prima fila nella foto ricordo del vertice di Berlino.