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Improvvisamente si sono scoperti tutti garantisti. Persino Grillo, anche se il più veloce è stato Renzi, con un tweet sull’informazione di garanzia alla Raggi, tanto quanto lo fu - anche allora da segretario del Pd nel far cacciare Berlusconi dal Senato senza tener conto dei tanti giudizi di incostituzionalità sull’applicazione retroattiva della legge Severino. È nata una nuova generazione è quella dei “garantisti- però...”
Gli anni degli scontri appassionati tra garantisti e forcaioli sono decisamente e definitivamente finiti. Si è arreso persino Beppe Grillo, che ha introdotto spiragli e distinguo in un regolamento di partito del Movimento cinque stelle. Oggi è dominante la generazione del “sono garantista però”. Il leader assoluto è Matteo Renzi, primatista in velocità nell’ipocrita tweet sull’informazione di garanzia a Virginia Raggi, tanto quanto lo fu - anche allora da segretario del Pd - nel far cacciare Silvio Berlusconi dal Senato senza tener conto dei tanti giudizi di incostituzionalità sull’applicazione retroattiva della legge Severino.
Tre sono le principali caratteristiche della generazione “sono garantista però”. La prima è l’incultura politica e giuridica. E anche giudiziaria. La gran parte di questi giovani ( e meno giovani) manca di buoni studi e della conoscenza dei principi di base dello Stato di diritto. Senza andare ai tempi delle guerre puniche, ma solo a vent’anni fa, gli antenati di partiti come il Pds o Forza Italia disponevano nelle proprie fila non solo di giuristi ma anche di politici che conoscevano Montesquieu, ma anche Benedettto Croce. E che approfondivano le situazioni processuali, studiavano le carte e non dicevano mai “aspettiamo che la giustizia faccia il suo corso”. L’autonomia della politica dava giudizi e non conosceva il “totalitarismo giudiziario” di cui ha parlato di recente Pierluigi Battista sul Corriere.
Il duellare tra quei politici era “colto”. E quando facevano “porcate” come quella di Andreotti ( fece riarrestare all’alba un gruppo di mafiosi scarcerati per scadenza dei termini), ne erano ben consci e dichiaravano di doversi sottomettere alla ragion di Stato. Così fu per tutte le leggi speciali, dagli anni settanta ( contro il terrorismo ma anche contro ogni forma di sovversione sociale) fino al decreto Scotti- Martelli del 1992- 93. Si lottava in nome di principi, fino ad allora. Oggi non è più così. Ai principi si sono sostituiti leggerezza e inconsapevolezza.
La seconda caratteristica è conseguenza della prima. È la sintesi di tutto. Non esiste più nessuno, neppure i giornalisti del Fatto, che non si definisca “garantista”. Sono tutti “garantisti- però”. Dal governo Renzi ( come ben descritto da un editoriale di Piero Sansonetti) sono caduti come pere mature tre ministri - Maurizio Lupi, Federica Guidi, Nunzia De Girolamo - vittime del “sono garantista però”. Ufficialmente nessuno li ha cacciati, nessuno ha chiesto le loro dimissioni quando furono lambiti da inchieste giudiziarie ( i primi due senza neppure essere sottoposti a indagine) che riguardavano altri e che sono in seguito evaporate nel nulla. Vengono evocate le “ragioni di opportunità”, la nuova formula che sostituisce l’informazione di garanzia. Una volta si gridava “sei indagato quindi vai a casa”, oggi si sussurra “la magistratura faccia il suo corso, però, per ragioni di opportunità politica” ti devi comunque dimettere. E intanto, educatamente, si sospinge il malcapitato verso l’uscita.
La terza caratteristica è la vigliaccheria, cioè quello che accade nel backstage, mentre sul palcoscenico si usano i guanti gialli. È la via degli esposti alla magistratura dopo le sconfitte elettorali. Qui sono maestri gli esponenti del Pd, ma non è escluso che presto si accoderanno quelli del Movimento cinque stelle. Gli esempi sono centinaia, ne citiamo tre, Milano, Parma e Roma. Il primo riguarda Letizia Moratti la quale, non appena eletta sindaco, tentò un timido spoil system dell’apparato dirigente e fu subito denunciata dalla sinistra, anche in sede penale. Salvata in seguito dal “rito ambrosiano”, è stata di recente condannata dalla Corte dei conti ( insieme a tutti gli assessori, tra cui la sottoscritta) per danno erariale. Nulla di tutto ciò è naturalmente accaduto ai suoi successori Pisapia e Sala, che hanno potuto assumere chi volevano ai vertici dell’apparato comunale.
Il secondo esempio riguarda il sindaco di Parma Pizzarotti, denunciato dal Pd per alcune nomine al Teatro Regio, cosa che gli costerà il fatto di essere indagato e di rompere con il suo Movimento, salvo essere poi prosciolto. Virginia Raggi, infine, denunciata da un avvocato del Pd con il sostegno della senatrice Monica Cirinnà in quanto ineleggibile a causa del patto interno stipulato con i vertici del Movimento cinque stelle. Esposto dichiarato infondato dalla magistratura, ma che ha tenuto impegnati a lungo i giornali- coccodé del circo mediatico- giudiziario.
Ecco, questa è la generazione dei “garantisti- però”. Forse preferivamo i forcaioli.