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La vicenda della nave della Guardia Costiera Diciotti, con lo sbarco a Messina di 67 migranti e il rimpallo di interventi al più alto livello istituzionale per arrivare alla soluzione, si presta a varie considerazioni. La battaglia sulla Diciotti e le regole della Costituzione
Le più immediate, ma forse anche più banali, rimandano ad un braccio di ferro tra Matteo Salvini, il premier Conte e il Quirinale, con quest’ultimo nelle vesti del vincitore finale e con il titolare dell’Interno in quelle dello sconfitto. Lettura tutta nella chiave dei rapporti di forza politici: veritiera ma, presumibilmente, superficiale.
Ce ne sono altre, altrettanto legittime e magari più penetranti. Non c’è dubbio che al centro della vicenda ci sia il Quirinale e le prerogative del suo inquilino. E neanche c’è dubbio sul fatto che sia stata la seconda volta dall’inizio della legislatura nella quale si è avviato uno scontro istituzionale sulla base della divisione dei ruoli e dei poteri così come disegnati dalla Costituzione. Il primo caso si verificò allorché il presidente Mattarella si oppose alla nomina di Paolo Savona a ministro dell’Economia con la conseguente, provvisoria, rinuncia all’incarico da parte di Giuseppe Conte. In quel passaggio Luigi Di Maio evocó l’articolo 90 della Carta per avviare la messa in stato di accusa del capo dello Stato. Mossa sommamente im- provvida, che infatti fu rinfoderata nel giro di poche ore. Ma che tuttavia resta agli atti di una concezione diciamo “utilitaristica” delle norme costituzionali che invece, com’è ovvio, hanno valenza erga omnes.
Stavolta è stato il titolare del Viminale a ingaggiare un duello con il Colle e più ancora - senza ventilare messe in stato d’accusa, è vero, ma anche senza derubricare la gravità degli atteggiamenti - a sgranare i confini tra poteri dello Stato, ognuno dei quali obbligato ad agire nell’alveo stabilito dalla norme della Costituzione. Il primo fu il caso di un’avventatezza politica segno di una scarsa conoscenza delle regole. Il secondo minaccia di essere più nocivo perché chiama in causa un principio basilare sotteso ai sistemi democratici: la separazione dei poteri e i compiti e i limiti di ciascuno. Quando infatti Salvini si oppone allo sbarco dei migranti della Diciotti chiedendo preliminarmente “le manette” per presunti ammutinati, non solo invade il campo della magistratura a cui unicamente spetta di perseguire chi contravviene alle leggi, ma mischia e confonde ciò che gli appartiene, ossia la tutela della sicurezza, con ciò che gli è estraneo, la divisione delle responsabilità che le stesse leggi, ordinarie e appunto costituzionali, stabiliscono. Quando poi esprime “sorpresa” per l’intervento risolutivo di Mattarella, invade direttamente terreni che gli sono preclusi, negando inoltre elementi basilari del sistema, come il fatto che si tratti di una nave militare, che il presidente della Repubblica è capo delle Forze Armate, che l’ultima parola - salvo appunto interventi di più alto livello istituzionale - spetta al presidente del Consiglio. L’irruenza caratteriale di Salvini è nota; come pure è sotto gli occhi di tutti che l’esibita intransigenza - ai limiti del “cattivismo” politico, da più parti celebrato come una dote che ristabilisce equilibrio rispetto al “buonismo” del passato - nei riguardi del fenomeno migratorio nel suo complesso, è benaccetto agli occhi dell’opinione pubblica. Il balzo della Lega nei sondaggi è lì a dimostrarlo.
Ciò tuttavia non mitiga il rilievo e l’importanza della vicenda, il cui significato profondo è questo: sono arrivate alla guida del governo forze politiche che nei valori stabiliti dalla Costituzione del 1948 si riconoscono poco o nulla. Non è questione di populismo o demagogia, termini abusati ancorché significativi. La spinta dei Cinquestelle a superare la democrazia delegata a favore di meccanismi di democrazia diretta cozza in maniera fortissima con i valori e gli ideali della Carta così com’è stata concepita e applicata dal dopoguerra a oggi. Allo stesso modo l’urto di Salvini a svellere presidi di democrazia nella divisione dei ruoli a favore dell’affermazione di una leadership detentrice di un potere unico e onnicomprensivo fa a cazzotti con i vincoli - da molti ritenuti vetusti ma non per questo da ignorare - posti dai padri costituenti a tutela di invasioni di campo tra poteri dello Stato.
È un tema che forse non appassiona i cittadini. Eppure è fondamentale. La democrazia è fatta di regole e si nutre del loro rispetto: se lo Stato di diritto viene messo in discussione, l’intera impalcatura collassa. Le regole, come le Costituzioni, si possono cambiare e, per quel che riguarda la situazione italiana, non c’è dubbio che siamo in grandissimo ritardo. Ma finché ci sono, vanno rispettate: tutte indistintamente, senza se e senza ma. Peraltro gli italiani hanno votato il 4 dicembre 2016 affinché l’impianto costituzionale restasse intatto: e Lega e M5S, se non ricordiamo male, erano di quell’avviso.