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«Le norme per contrastare lo stalking ci sono. Il resto è solo giustizialismo»
Valerio Spigarelli, avvocato già presidente dell’Unione camere penali italiane, sulla richiesta di provvedimenti più severi nei casi di stalking e violenza per prevenire i femminicidi, spiega che «è una noiosa demagogia degli adoratori delle manette che non si fanno scrupolo a dire che tutto va male ma poi se si chiede loro di quantificare il dilagare del fenomeno sulla base di dati statistici dal punto di vista criminologico non rispondono perché non ce l’hanno». Sui casi di uomini che uccidono le donne, magari dopo una relazione finita male, commenta: «Ormai si parla di femminicidio per tutti gli omicidi di donne, ma il rischio è di leggere i numeri in una particolare maniera mentre si dovrebbero paragonare sempre con le tendenze del passato».
Avvocato Spigarelli, pensa che le leggi attualmente in vigore bastino a contrastare il fenomeno dei femminicidio, da ultimo quello di Vanessa?
Quando ci troviamo di fronte a questo fenomeno, ancor prima di vedere i numeri, si tira fuori subito il discorso riguardo a ipotetiche norme insufficienti, mettendo in discussione un apparato normativo che tutto sommato è piuttosto nuovo e funziona. I reati contro la persona in Italia sono decisamente in calo e siamo un pese tranquillo. È vero che un numero significavo di reati maturano in contesti familiari e di solito ci troviamo di fronte a un uomo che uccide una donna e da qui la dicitura di femminicidio, ma abbiamo la legge sullo stalking e norme riformate successivamente, tutto sta a farle funzionare.
Eppure di femminicidi si parla ormai quasi ogni giorno, c’è una commissione parlamentare sul tema e i casi di cronaca aumentano.
C’è una percentuale di casi che maturano in famiglie apparentemente normali, dove ad esempio non ci sono casi di stalking. In questi casi sono delitti difficili da prevenire, in contesti del genere ciò che non funziona non è l’armamentario penale, che è più che sufficiente, quanto il fatto che non ci sia un’adeguata verifica da parte dei servizi sociali. Dove c’è degrado sociale paradossalmente è più facile intervenire.
C’è troppa attenzione insomma sui femmicidi?
Ormai si parla di femminicidio per tutti gli omicidi di donne, ma il rischio è di leggere i numeri in una particolare maniera mentre si dovrebbero paragonare sempre con le tendenze del passato. Viviamo in una società dove ci sono larghe sacche di comportamenti arcaici ma è la società stessa che deve guarire, è difficile che possa guarire attraverso modifiche al codice penale.
Non nego che le donne rischino di subire violenze, eppure, a commento di uno degli episodi di questo genere, ho sentito invocare pene più severe e non si sa quali misure cautelari ma ovviamente non ci sono altre opzioni se non quella di introdurre l’ennesimo automatismo cautelare. Stalking? Tutti in galera. È una maniera aberrante di affrontare queste faccende ma purtroppo è quella più consona al legislatore almeno negli ultimi vent’anni.
Non è d’accordo quindi con Travaglio, che commentando il caso di Vanessa ha attaccato la riforma della custodi cautelare i referendum sulla giustizia.
Travaglio è un disco rotto anche un po’ noioso. Non hanno deciso i politici che la custodia cautelare sia l’estrema ratio, come dice lui. L’ha deciso la Costituzione. Prima di una condanna dovresti andare in carcere se ci sono pericoli gravissimi ma questo avviene in qualunque paese civile. Andare contro al gip che ha deciso soltanto per il divieto di avvicinamento è offensivo, perché immagino che stia vivendo un dramma. Gli elementi che aveva a disposizione evidentemente non erano tali da prevedere un pericolo gravissimo, tant’è che neanche la procura aveva chiesto la custodia cautelare in carcere.
Pensa che il pensiero di Travaglio sia maggioritario nel paese?
È una noiosa demagogia degli adoratori delle manette che non si fanno scrupolo a dire che tutto va male ma poi se si chiede loro di quantificare il dilagare del fenomeno sulla base di dati statistici dal punto di vista criminologico non rispondono perché non ce l’hanno. Quando si fece la prima riforma dei reati di violenza sessuale negli ultimi vent’anni al governo c’erano Maroni e Berlusconi. Nello stesso giorno Maroni fece una relazione sull’ordine pubblico in Italia in cui disse che le violenze sessuali erano in calo, se ne prese il merito, ma il governo pubblicò un decreto legge fondato su una situazione di straordinaria necessità e urgenza dicendo che il fenomeno delle violenze sessuali stava dialogando. Una contraddizione assoluta.
Fu solo un episodio o è un atteggiamento diventato quasi normale, assecondando quindi il desiderio di giustizialismo certamente presente in una parte dell’opinione pubblica?
È ciò che si ripete da un sacco di tempo per un certo tipo di reati tra i quali metterei anche le violenze mafiose e altri, sui quali impera sempre questo modo di ragionare: ci sono tre quattro casi di cronaca e subito si grida all’allarme. I femminicidi sono aberranti, intendiamoci, ma prima di dire che le leggi sono imbelli e che non abbiamo norme per contrastarli dovremmo guardare ai numeri.
Non si può sempre dire che il sistema ha fallito, si dovrebbe valutare anche le volte in cui il sistema giudiziario e ciò che gli sta attorno hanno evitato una violenza. C’è demagogia informativa attorno a questo tipo di reati e ciò inquina un po’ il discorso rendendo gli attori della politica non particolarmente razionali nell’affrontare questi temi.