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Difficile stupirsi delle difficoltà dell’azione di governo in avvio di questa fase 2. Ma sarebbe sbagliato considerarle solo frutto dell’unicità della sfida, dalla eccezionalità del momento o delle giuste e doverose cautele del caso. E sarebbe altrettanto sbagliato porre l’attenzione soltanto sul gusto per la polemica, la voglia di visibilità di questa o quella forza politica o sulla vocazione.
C’è tutto questo, ovviamente, ma c’è soprattutto dell’altro alla base di questo stallo: l’assenza di una visione comune, di un progetto condiviso, la mancanza della politica. La fase1 di Covid19, in tutta la sua drammaticità, ha nascosto per qualche settimana la distanza tra i partiti e i leader della maggioranza che si sono ritrovati concordi nel gestire la chiusura del Paese per fronteggiare l’emergenza sanitaria. Il messaggio # restiamoacasa è stata la bandiera dietro la quale la maggioranza ha trovato una parvenza di unità. Ma, una volta uscito dal trend topic questo hashtag, nessuno ha saputo trovare una bandiera nuova buona per tutti. E quando si è iniziato a ragionare di fase2, a immaginare e progettare la ripartenza quelle differenze politiche e valoriali che esistono tra i partiti di maggioranza sono tornate in superficie, facendo riprecipitare l’azione di governo alla stagione pre- Covid19 e a quello spartito stantio di annunci, polemiche, minacce e rinvii. Ma se quello schema era inadeguato in una condizione normale, rischia di diventare dannoso e pericoloso nel mondo nuovo creato dall’epidemia.
Lo iato tra attese, bisogni e annunci dal lato e provvedimenti reali sta assumendo un peso sempre maggiore aumentando il disagio sociale di tanti italiani. A ben guardare, però, non è solo il ritardo del secondo decreto economico – lentamente, ma inesorabilmente slittato dalla prima decade di aprile a quella di maggio – a rappresentare il problema. È piuttosto il sintomo, esattamente come l’impasse sulla app Immuni, di una malattia più profonda. Il vizio d’origine di questo governo: l’assenza della politica. E in questo vuoto di politica torna a regnare la tattica, non proprio lo strumento migliore per guidare il Paese attraverso e oltre una crisi tanto profonda come quella scatenata da Covid19. Con la tattica si può spuntare qualche misura simbolo, affrontare e vincere un duello parlamentare, trovare un compromesso – magari anche alto – su singole battaglie. Ma con la tattica non si può supplire all’assenza di visione e di un progetto condiviso per costruire l’Italia di domani.
D’altra parte, questo è un governo nato all’insegna della tattica e non della politica con la mossa agostana di Matteo Renzi, non a caso tornato in prima linea negli ultimi giorni con il suo partito, dopo l’addio all’alleanza con il Movimento 5Stelle di Salvini. E i partiti di maggioranza sono rimasti bloccati nelle loro contraddizioni e nelle reciproche distanze e diffidenze.
Il Movimento resta prigioniero della sua indeterminatezza politica, rimane quell’ibrido tra pulsioni populiste di destra e di sinistra con una profonda anima giustizialista, il tutto condito da una logica anticasta e, ancora oggi, ferito da personalismi. Nulla è cambiato da agosto a oggi. Siamo sempre all’ odi et amo Di Maio/ Di Battista, al Fico riferimento dell’ala sinistra che però stenta a prendersi la guida grillina, ai parlamentari in fibrillazione per la preoccupazione di non tornare in Parlamento. Senza contare una malcelata nostalgia per la fase 1 della legislatura e per l’alleanza con la Lega di Salvini: la sintonia su politiche per migranti e sicurezza continua a emergere con cadenza regolare.
In casa Pd restano i problemi di sempre. La sua natura geneticamente governista lo tiene lontano da forzature, l’amalgama mai completamente riuscito delle anime fondatrici ne limita il portato riformista, il timore di offrire sponde a Matteo Renzi e al suo partito gli impedisce fughe in avanti verso un approdo più compiutamente progressista e socialdemocratico. Inoltre, la complessa natura dell’alleato grillino fa del Partito democratico il vero perno della maggioranza in Italia e in Europa, ma per paradosso si trova a difendere un premier non suo, con una certa propensione all’azione in solitaria e, nel rapporto con l’Unione europea, con qualche rigurgito sovranista. Tra i due scalpita Matteo Renzi. L’ex rottamatore ha dimostrato negli anni capacità tattiche notevoli e sta mettendo a dura prova la tenuta emotiva e politica della maggioranza con la ripresa dei blitz polemici nei confronti di Conte e dell’azione del governo. È, anche in questo caso, il replay di quanto abbiamo visto nei mesi pre- Covid19, ma è una riproposizione inadeguata alla fase che stiamo affrontando e, forse, anche al processo di maturazione di un movimento – Italia Viva – ancora giovane, ma che ha ambizioni di centralità nel dibattito politico e che necessariamente deve darsi una struttura e una postura politica di affidabilità. La proposta di un contratto di governo alla tedesca avanzata ieri sembra andare in quella direzione. Ma la sua impraticabilità per i tempi che richiede e le dinamiche che dovrebbe attivare – oltre che per l’emersione delle contraddizioni che provocherebbe – la relega nel cassetto delle proposte buone per scatenare qualche tweet senza conseguenze politiche.