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Come finirà la partita che, dopo oltre 10 giorni di manovre tattiche e ipotesi scritte sull'acqua, comincerà davvero solo oggi nessuno può dirlo. Di certo l'esito più accreditato, sempre restando nel regno effimero delle parole almeno per ora prive di sostanza, è il rovesciamento della maggioranza, con il Pd a sostituire la Lega nell'alleanza con l'M5S e gli scampoli di sinistra che per comodità vengono definiti LeU, anche se LeU è in realtà al momento una scatola vuota, a fare insieme da terzo partner e da collante. I due partiti maggiori, si sa, hanno passato gli ultimi anni scambiandosi insulti e reciproci anatemi. Un soggetto politico cuscinetto, sia pur vago e poco consistente come LeU è, se non proprio indispensabile, certo massimamente utile.
Se nascerà, questo governo sarà figlio non di una convergenza politica, sia pure fragilissima come era quella alla base del contratto tra M5S e Lega, ma semplicemente della paura e dell'istinto di sopravvivenza. I 5S intravedono un esito elettorale disastroso e pur di evitare il voto in poche settimane sono pronti a tutto o quasi. Il Pd di Zingaretti preferirebbe di gran lunga sfidare le urne, pur sapendo di essere destinato alla sconfitta, per affibbiare la mazzata finale ai competitors pentastellati e ripristinare così un classico ( e comodo) bipolarismo destra- sinistra. Ma il segretario del Pd è soggetto al ricatto di Renzi, che controlla il gruppo del Senato e teme una rovinosa spaccatura del suo partito proprio alla vigilia del voto. Anche nel suo caso a decidere è la paura. Per quel che resta della sinistra radicale, uscita annientata dalle elezioni europee, sfidare le urne ora significherebbe certificare la propria definitiva scomparsa. Ovvio che tema le elezioni forse più di ogni altro. A queste distinte e diverse paure va certo sommata quella comune di consegnare il Paese a Matteo Salvini, nemico di tutti. Se il governo “giallorosso” nascerà sarà solo in virtù di queste paure, e le mano di vernice con cui i partiti tenteranno di nascondere la realtà camuffandola da “accordo politico” non basteranno a ingannare nessuno. Tanto meno la realtà.
La paura sarà il vero collante dell'eventuale nuovo governo anche nel corso dela sua più o meno breve vita. Una volta fatto il passo senza ritorno dell'alleanza M5S- Pd rinviare quanto più possibile le elezioni sarà imperativo. Reggere almeno due anni, per arrivare alla prova senza certezza di uscirne massacrati, sarà imperativo.
In un governo che, figlio della paura, navigherà poi con la paura come unica bussola è inevitabile che il ruolo decisivo finisca nelle mani di chi ha meno ragioni di timore. Cioè di Matteo Renzi. Anche Renzi si è mosso sull'onda della paura. Elezioni ora lo priverebbero della sola arma di cui dispone, cioè il controllo sui gruppi parlamentari e in particolare su quello del Senato, senza lasciargli in tempo per provare a costruire il suo nuovo partito. Ma, a differenza di tutti gli altri soggetti coinvolti, il Matteo redivivo potrebbe tirare il sospiro si sollievo e deporre ogni timore nel momento stesso in cui il governo di cui è principale mallevadore nascesse. L'ex segretario del Pd è il solo che da questa avventura avrà tutto da guadagnare e niente da perdere. Potrà permettersi di tenere in vita il governo e a un certo punto di decretarne la morte a seconda del suo esclusivo vantaggio. I prezzi dell'ibrida alleanza li pagherà il Pd, partito che già da un pezzo non considera più suo. I dividendi finiranno nelle casse del partito centrista a cui vuol dare vita. Solo quando quel partito sarà pronto al decollo toglierà l'ossigeno al governo che forse si appresta a nascere. Ma a quel punto nessuna considerazione potrà impedirgli di procedere. L'uomo, si sa, è fatto così.
In queste ore, prima che la partita cominci davvero, si sono quindi moltiplicati i piani di battaglia con obiettivo l'imbrigliare Renzi. Di strade praticabili ce ne sono in realtà solo due. La prima passa per il coinvolgimento diretto del ragazzo di Rignano nel governo. Non che sia una formula davvero sicura, come il caso Salvini conferma, però l'ingresso di Renzi o di qualche renziano di prima fila nel governo limiterebbe almeno la libertà di manovra dell'ex segretario e soprattutto lo costringerebbe a condividere le responsabilità delle concrete politiche di quell'esecutivo. La seconda via, più sicura anche se neppure quella davvero blindata, implica invece il coinvolgimento di Berlusconi: diretto, cioè nelle forme di un aperto ingresso di Fi nella maggioranza, oppure indiretto, cioè tramite una scissione pilotata da Arcore dell'area più digeribile del partito azzurro per i 5S, quella che fa capo alla vicepresidente della Camera Mara Carfagna. Entrambe le strade sono però ostacolate dalla solita esigenza dei 5S di mostrarsi rigidi anche quando, come in questo caso, sono più flessibili di qualsiasi giunco. Insisteranno quindi per evitare che il loro secondo governo sia macchiato dalla presenza intollerata dei renziani o dei berlusconiani. Renzi ne sarà lietissimo.