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Torna d’attualità la riforma elettorale, che viene ciclicamente riformata negli ultimi lustri. All’inizio di questa sventurata legislatura, ricordammo alle forze politiche, come “dovere del Parlamento” appena insediato, che la legge elettorale deve essere promulgata il più possibile lontano dalle prevedibili elezioni politiche, peraltro incerte nelle presenti condizioni.
I maliziosi insinuano tuttavia che non sia quel “dovere” ad aver indotto i partiti a riprendere la discussione di una nuova legge elettorale, bensì che, dati i precedenti, la ripresa della discussione sia invece l’indizio decisivo del fatto che le elezioni si stiano avvicinando. Nelle ultime legislature l’Italia è stata costretta ad assistere alla lotta invereconda dei partiti per approvare una legge elettorale non già allo scopo, ipocritamente dichiarato, di conseguire rappresentatività e governabilità, bensì di perseguire l’interesse preminente dei capipartito e dei loro famigli alla salvaguardia del seggio e della rielezione, oltreché, ovviamente, alla protezione del bacino elettorale risultante dai sondaggi.
Orbene, la lotta non è né patriottica né costituzionale, perché intenzionalmente indirizzata a manipolare il genuino voto elettorale, la sovranità popolare e perciò il vero governo rappresentativo. Non è mai stata una contesa tra il bene e il male, ma la ricerca di scambievoli garanzie tra i contendenti. Esiste una ragione intrinseca, ontologica, per la quale una legge elettorale non dovrebbe essere elaborata ed approvata da chi dovrà misurarvisi, ed è che solo un partito politico eroico sa spogliarsi della propria forza in vista della superiore “salus rei publicae”.
Soltanto una volta nella storia, durante la Rivoluzione francese, l’Assemblea nazionale costituente decretò l’ineleggibilità dei suoi membri alla successiva Assemblea legislativa. È stato anche detto che, per ottenere davvero una legge elettorale rispettosa di tutti, dovrebb’essere votata all’insaputa dei futuri contendenti, sotto il velo dell’ignoranza dei probabili o soltanto possibili conseguenti risultati. Purtroppo tutto questo pare irrealistico, almeno alla luce delle ultime vicende italiane a riguardo.
Nel “Codice di buona condotta elettorale”, elaborato nel 2002 dalla Commissione europea per la democrazia e il diritto (c. d. Commissione di Venezia) del Consiglio d’Europa, si può leggere che la stabilità del diritto è un elemento importante per la credibilità di un processo elettorale, ed è essa stessa essenziale al consolidamento della democrazia. Infatti, se le norme cambiano spesso, l'elettore può essere disorientato e non capirle, specialmente se presentano un carattere complesso. A tal punto che potrebbe, a torto o a ragione, pensare che il diritto elettorale sia uno strumento che coloro che esercitano il potere manovrano a proprio favore, e che il voto dell'elettore non è di conseguenza l'elemento che decide il risultato dello scrutinio.
Nello stesso “Codice” si legge pure che la necessità di garantire la stabilità, in effetti, non riguarda tanto i principi fondamentali, la cui messa in causa formale è difficilmente immaginabile, quanto alcune norme più precise del diritto elettorale, in particolare del sistema elettorale propriamente detto, quali le candidature, le circoscrizioni elettorali, gli sbarramenti. Questi tre elementi appaiono determinanti per il risultato dello scrutinio, ed è opportuno evitare non solamente le manipolazioni in favore dei partiti esistenti, ma anche le stesse apparenze di manipolazioni. “Ciò che è da evitare non è tanto la modifica della modalità di scrutinio, poiché quest'ultimo può sempre essere migliorato, ma la sua revisione ripetuta o che interviene poco prima dello scrutinio (meno di un anno). Anche in assenza di volontà di manipolazione, questa apparirà in tal caso come legata ad interessi congiunturali di partito”.
L’Italia ha violato smaccatamente, più volte, tale Codice, in special modo la prescrizione, politicamente e logicamente inoppugnabile, secondo cui dev’essere evitata la revisione ripetuta della legge elettorale e comunque la revisione che interviene meno di un anno prima dell’elezione, perché “anche in assenza di volontà di manipolazione, questa apparirà in tal caso come legata ad interessi congiunturali di partito”. Figuriamoci in presenza di siffatta volontà: esclusiva, concreta, manifesta, come dimostratasi nelle ultime tre leggi elettorali.