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Il silenzio del segretario. In tutti questi anni decine e decine di direzioni Pd, come sfiancanti sedute di analisi, hanno fatto di noi delle brutte persone, non solo giornalisti senza cuore che per un senso di liberazione sperano nella dissoluzione definitiva del Partito Democratico, pur essendo magari, o forse proprio per quello, idealmente di sinistra.
Proprio brutte persone risucchiate nel gorgo rancoroso di un partito maleducato con la sua gente e con tutti quelli che hanno anche solo cercato di comprenderne i sentimenti. Il Partito Democratico ha peggiorato tutti, indistintamente, con la sua straordinaria forza distruttiva e alla fine, apoteosi di un’inevitabile atarassia politica, nessuno si sente più orfano di nulla e di niente.
È un miracolo che si compie ogni mille anni, privare la propria gente d’ogni appartenenza, anche la più piccola nostalgia. Eppure li incontriamo ancora gli orfani socialisti, ed è passato mezzo secolo. Li incontri, e in automatico si mettono a parlare del grande Bettino, tanto che Bobo spesso, incrociandoli per Roma, li schizza per troppo affetto e per non sentirsi ripetere altre mille e mille volte quelle storie note che ai reduci del fronte paiono le uniche meritevoli d’essere raccontate.
E sarà anche un po’ patetico ricordarsi sempre di Craxi, come di chi a Napoli la butta su Maradona, ma perdio almeno è stata vita, sangue e carne politica. E che politica ( comprendendoci tutto).
In questi giorni di luglio si assiste, nel Partito Democratico, a un tutti contro tutti. Non che sia questa gran novità. È una situazione da asilo Mariuccia, se non fosse che si giocano i destini dell’unica forza di opposizione del Paese e allora qualche problema c’è.
Siamo forse all'attacco finale, i riservisti renziani si riuniscono nella terra promessa e da Montecatini avvertono il segretario in carica che faranno di tutto per cambiargli i connotati, perché ' in questo Partito Democratico non ci riconosciamo'.
Il tenentino Lotti, che ne governa operativamente una settantina - anche se poi presenti sono solo in 40 - vive una dimensione spazio- temporale parallela, in cui le cronache che lo riguardano sono lette come fanfaluche e ' un giorno - dice alla platea - la verità emergerà e quello sarà un gran giorno'.
Già, salterà mai fuori questo giorno per il Partito Democratico, il giorno della Verità? Nella sua letterina di dieci punti a Repubblica, Matteo Renzi, oggi ormai conferenziere di fascia C, scarica sul governo Gentiloni- Minniti la drammatizzazione del problema immigrazione, sottolineando come sullo jus soli sia mancato il coraggio. Minniti non passa alle mani solo per un’antica forma di educazione.
Gentiloni replica più elegante, senza mai nominare il suo accusatore ( strategia antica che non portò eccessivo favore a Veltroni quando scelse in campagna elettorale di non nominare mai Berlusconi).
Insomma, quello che appare sufficientemente chiaro è che a nessuno interessa davvero la sopravvivenza dell’altro, neppure come estrema forma di rispetto verso una minoranza, neppure come onore delle armi. Uno soccomberà sotto i colpi dell’altro.
Mentre la banda toscana ricama i suoi merletti in attesa della possibile rivincita, Zingaretti assume, al solito, i tratti garbati di Gregory Peck in «Vacanze romane», come se la questione non lo riguardasse.
Gira in Vespa con la sua bella e quando i giornali glielo ricordano, lui parla della rumenta che infesta la città. Il comportamento del segretario del Pd è forse comprensibile, anche se difficilmente giustificabile: comprensibile perché in Parlamento il Partito Democratico non va da nessuna parte senza i numeri renziani.
Poco giustificabile, perché Zinga ha nella sua giberna un milione e seicentomila personalissimi attestati di stima, nei confronti dei quali ha un debito di attenzione. Questo popolo da gazebo è un popolo anagraficamente maturo, lo dicono le analisi di quelle primarie.
È un popolo che ha visto molto, e che ha patito molto in questi anni. Logico che non voglia farsi maltrattare da ragazzetti ineducati. Quando è emerso in tutta la sua evidenza un problema Lotti, si aspettava un gesto, un atteggiamento fermo da parte del segretario. Che non è mai arrivato. Zingaretti crede di poter governare gli eventi evitando il conflitto e fino a che la legislatura richiederà una coabitazione forzata, così sarà.
Il progetto, a più lungo termine, è quello di eliminarli per via naturale, il giorno in cui di dovesse tornare al voto nazionale. In quel momento la composizione delle liste dei candidati tornerà finalmente nelle sue mani e quello sarà il meccanismo più semplice per ritrovare un equilibrio interno che gli eviti altre forme di ricatto.
Perdendo i renziani, se così sarà la sua decisione, perderà anche un certo numero di voti. Questo Zingaretti lo deve sapere.
Perdere voti non è mai accettabile per un segretario, ma quello è il prezzo da pagare. Si recuperano? No, sul breve no. Nessun Fratoianni ti riporta quei voti.
Per cui la scelta sarà delicatissima: perdere voti per ritrovare però una più vera identità, di sinistra, di difesa delle fasce più deboli, o mantenere all’interno del partito anche la sua anima più spregiudicata?
Nel primo caso, il Partito Democratico ha un percorso segnato: diminuire nei consensi, cementandoli di più. Rendendoli più vivi, più veri, più tuoi. In questo caso, lasciando lo spazio perché qualcosa, “naturalmente”, ancora idealmente di sinistra, nasca alla tua destra. La zona Calenda, per dirla con l’attualità, con cui ovviamente allearti. Potrebbe diventare la zona Renzi? Potrebbe. La seconda via possibile, tenere insieme le due anime all’interno dello stesso partito, riconsegnerebbe il Partito democratico all’irrilevanza di questo tempo, alle non decisioni, alle infinite guerre interne, finendo per logorarlo definitivamente.
Un suicidio e neanche tanto assistito. È questa la sfida a cui è chiamato nei prossimi mesi/ anni Nicola Zingaretti. A dispetto dei suoi tentennamenti, del suo essere ( apparentemente?) così accomodante, un contrappasso persino troppo crudele.)