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Siamo già in par condicio e nessuno se ne è accorto: giustamente, cambiare la Costituzione ha un valore mediatico infinitesimalmente inferiore alla settimana santa di Sanremo. Vuoi mettere la performance turpiloquiante di Morgan, le mise di Achille Lauro, la mascherata di Junior Cally e di Miss Keta con la noiosissima storia della riduzione dei parlamentari? Epperò bisogna che qualcuno racconti che cosa andremo a fare il 29 di marzo alle urne, non solo perché è giusto che chi partecipa al referendum sappia di che cosa si parla, ma anche perché, salvo voci e sottovoci sparute, timide, e ' qui lo dico e qui lo nego', sembra che tutti siano schierati dal lato di chi vince perché si pensa che il popolo abbia bisogno di un po’ di sangue di inutili parlamentari.
Così si addensa la ' quasi unanimità' dei tagliatori, così, per compiacere il cliente, un po’ come accadde nel lontano 1993 col referendum elettorale di Segni per abbattere il sistema proporzionale. In quel quasi plebiscito non ci fu un giornale, un accademico, una tv, un intellettuale ( salvo una sparuta e nobile minoranza, meritoria come i dodici accademici italiani su milleduecento che nel ' 31 si rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo), che non battesse le manine alla metamorfosi maggioritarista, salvifica in sé.
Oggi, che è di moda il proporzionale, andrebbe regalato almeno un bonus fiscale a quel 15% di italiani che possono dimostrare di aver votato contro quel referendum, che ci ha regalato gli anni ruggenti di Berlusconi, la fine della forma- partito, la meraviglia delle liste bloccate e dell'espulsione degli elettori dalla scelta dei candidati.
Siccome, allora, il lavoro ingrato qualcuno deve farlo, in sintesi richiamerò le ragioni per cui voterò no a questa riforma che considero un prodotto frettoloso e, in una certa misura, addirittura preterintenzionale. Frettoloso perché non mette nel conto i gravi problemi di rappresentanza, di funzionamento del Parlamento, d’impatto con l'ordinamento costituzionale, tutti elementi che avrebbero dovuto essere inquadrati nella riforma.
Preterintenzionale perché, in realtà, questa ' bandiera' del Movimento Cinque Stelle, coerente con la visione antagonista della prima stagione del movimento, sarebbe rimasta solo un oggetto di culto privato se altre forze politiche avessero mantenuto le valide argomentazioni oppositive originarie ( il PD ha votato contro per tre volte in Parlamento, per non parlare di altri singoli e gruppi convertiti sulla via di Damasco per non dispiacere il “pubblico”).
Cominciamo col dire qualcosa sulla motivazione madre del provvedimento: i costi della politica. Intanto correggiamo: in realtà si tratta di costi della democrazia, perché in questo caso stiamo parlando di rappresentanza, non di funzionamento della segreteria di partito, del costo delle affissioni pubblicitarie o dell'auto blu del segretario. E quando si parla di costi della democrazia, bisogna stare molto attenti, perché se il criterio è quello del risparmio, si arriva così lontano che si rischia di perderla di vista, la democrazia: in fondo si risparmia molto di più se a decidere è un sinedrio di dieci, o meglio ancora uno solo.
I sostenitori del provvedimento parlano di risparmi pari a 500 milioni per legislatura; secondo Cottarelli che, peraltro spiega come con il taglio il risparmio reale sarebbe ' solo' di 285 milioni effettivi, si tratterebbe di una cifra pari allo 0,007% del bilancio dello Stato. Fermiamoci qui e seguiamo la pista del taglio dei costi della politica ( e non della democrazia). Bene: se valutiamo troppo cara la spesa del Parlamento perché non proviamo a spuntare un po’ l’indennità dei suoi inquilini?
L’abbiamo già fatto con un semplice provvedimento amministrativo interno per quelli cessati dalla carica ( le cosiddette “pensioni”, i vitalizi dei deputati e senatori), perché ci ritraiamo di fronte ad una spuntatina per quelli in carica con lo stesso velocissimo sistema? Mediamente i parlamentari percepiscono di netto circa 13/ 13.500 euro ( qualcosa di più i senatori rispetto ai deputati), tra indennità e rimborsi vari.
Se fossero prelevati 5000 ad ognuno al mese non sarebbe poi un dramma da rasentare la fame o l’indecorosità. Però garantirebbe un risparmio di 283,5 milioni a legislatura: esattamente la cifra che s’intende risparmiare. Ma è poi vero che i parlamentari italiani sono così in esubero rispetto al resto del mondo? Certo, se il confronto si fa con il Parlamento monocamerale di Singapore, città- Stato di 5,5 milioni di abitanti che elegge una novantina di rappresentanti, beh, in effetti un certo squilibrio c’è con i nostri 945 ( tra Camera e Senato).
Ma se proviamo a confrontare il nostro con quelli di Parlamenti di paesi con un numero di abitanti simile al nostro, Francia e Regno Unito, allora ci troviamo con grandezze ben diverse: 923 i francesi, tra Senato e Assemblea Nazionale, una ventina soltanto in meno dei nostri. Addirittura 1426 in Inghilterra tra Camera dei Comuni e House of Lords, 471 più che in Italia. E si obietti quanto si vuole sul fatto che la camera Alta in questi due ordinamenti ha ruoli diversi dalla nostra: i numeri quelli sono.
Semmai sarebbe stato più giusto cambiare il nostro Senato che continua a fare lo stesso mestiere della Camera, ma quello è un altro tema. Stabilito, dunque, che il nostro non è il parlamento- monster che si intende rappresentare, almeno nella numerosità, occorrerà ricordare che le mutilazioni che questa riforma provoca sono molte e necessiterebbero di una serie di riforme, costituzionali e non, coerenti, solo per limitare i danni.
Solo per un veloce indice: una riforma elettorale che lasci sopravvivere il senso della rappresentanza, già implicitamente mortificata dal ridimensionamento del numero dei rappresentanti ( con l’effetto dell’innalzamento aritmetico della soglia di sbarramento), che peraltro produce anche l’effetto di rafforzare il potere dei capi- bastone, per cui solo il voto di preferenza potrebbe correggere il rischio del mandato imperativo; una riforma costituzionale per ripristinare l’equilibrio del Parlamento nell’elezione del Capo dello Stato; un’altra per equiparare i diritti di elettorato attivo tra Camera e Senato, tanto per far cenno alle questioni più macroscopiche.
Può bastare, per il momento. In chiusura il ricordo di un referendum costituzionale che chiamò nel 2013 gli irlandesi al voto sull’abolizione del Senato proposta dal Governo. Smentendo i sondaggi che davano la stragrande maggioranza a favore, votarono contro l’invito del Governo. Il ragionamento fu semplice: “Se la politica viene a proporre qualcosa che appare buono, gatta ci cova”. Chissà….