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Il Recovery Fund è servito. Anzi no: è servita la proposta della Commissione che ora dovrà affrontare il solo vero scoglio, quello del Consiglio europeo che si riunirà il 18 giugno. Lo scontro con i Paesi ostili al Recovery avverrà in quella sede. La proposta tenuta segretissima sino all'ultimo da Ursula von der Leyen e poi ufficializzata ieri ha comunque un peso notevole, essendo il punto a cui partono sia le istituzioni europee che i principali Stati, Germania e Francia, con la maggioranza dei Paesi Ue a sostenerli.In Italia già sparano i mortaretti, in buona parte a ragione veduta, anche se la rosa non è sprovvista di spine. Il fondo complessivo sarà di 750 mld, 250 in più di quanti previsti dal piano franco-tedesco. L'aggiunta sarà costituita da un prestito mentre il grosso sarà "a fondo perduto": una serie di interventi europei (tassa sul carbone, web tax, plastic tax come base) dovrebbe evitare la restituzione parziale sotto forma di aumento dei contributi al bilancio europeo nei prossimi anni. Il resto sarà invece debito a tutti gli effetti: peserà cioè sul debito pubblico.All'Italia andranno i contributi più cospicui: 172,7 mld tra cui 81,807 in forma di sussidio e 90,930 come prestito. I fondi saranno divisi in tre diversi programmi di sostegno. Il più cospicuo e determinante sarà il Recovery and Resilience Facility e dovrebbe essere sottoposto a una doppia condizionalità. La prima è l'obbligo di indirizzare gli investimenti verso i fronti strategici indicati dall'Unione, Green Economy e Digitalizzazione, oltre che verso i settori più colpiti dalla crisi, primo fra tutti il Turismo. La seconda è l'attuazione delle Riforme indicate dalla Commissione. Messa così, dunque se non subirà modifiche nel corso dell'iter e se i dettagli non contraddiranno come spesso capita i "titoli", per l'Italia non andrebbe male. Le riforme richieste, oltre a un intervento più che mai necessario sulla Sanità, riguarderebbero Giustizia, Istruzione e Pubblica amministrazione. L'importante qui è quel che, almeno per ora, non c'è: la riduzione a tappe più o meno forzate del debito pubblico."Si tratta di una svolta senza precedenti" esulta il commissario italiano all'Economia e l'entusiasmo non è ingiustificato. Anche se la presidente von der Leyen si è affrettata a sottolineare che "non c'è mutualizzazione del debito" l'affermazione è vera più nella forma che nella sostanza. Questo modello di Recovery Fund è quanto meno un passo in quella direzione. Il prestito, inoltre, prevede condizioni ottimali: basso tasso d'interesse e restituzione a lungo termine, tra il 2028 e il 2058.I problemi, per l'Italia, sono altrove. Non è chiaro quanta parte del fondo sarà disponibile nei prossimi mesi, ma si tratterà certamente di briciole: intorno ai 10 mld. E' in discussione la possibilità di un prestito-ponte per suppplire al problema di quei Paesi che, come l'Italia, di quei sussidi hanno bisogno subito e non possono aspettare il 2021. Ma in queste condizioni, inevitabilmente, tornerà all'odg il tema del prestito Mes, nonostante sia stato bocciato anche negli ultimi giorni da Conte. Lo stesso M5S, ora, si mostra più possibilista. "Certo le condizioni sono molto diverse da quelle del vecchio Mes", ammette il ministro D'Incà ma il tema resta incandescente.Poi c'è il problema per molti versi principali. L'Italia, oggi, non è in grado di investire decine di mld nei settori indicati dalla Commissione. Se non lo ha fatto sinora, con capitali europei certo inferiori ma pur sempre cospicui, è proprio perché non può farlo. Le sette riforme annunciate ieri dal premier Conte nel suo "Recovery all'italiana" vanno proprio in quella direzione ma sono solo annunci: battere quella strada superando i mille ostacoli della macchina amministrativa italiana in panne è altro paio di maniche.Infine il debito. Certo, la soluzione trovata è molto distante da quella capestro alla quale mirano i Paesi che oggi si chiamano frugali e ieri erano più propriamente definiti "falchi rigoristi" ma pur sempre di debito pubblico si tratta e di un debito già arrivato alle stelle. Senza una netta ripresa economica, ostacolata dalle difficoltà di cui sopra, il rischio, segnalato a tutte lettere dalla Bce due giorni fa, che nei prossimi mesi emergano rischi per la sostenibilità del debito pubblico dei Paesi più fragili è innegabile e incombente. La Bce non cita nessun Paese. A tutti sanno che il riferimento è diretto essenzialmente a un solo Stato: l'Italia.