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L’altro ieri è giunta nelle redazioni dei giornali la notizia che Gianni Alemanno, Nicola Zingaretti e un altro bel gruppetto di ex assessori e esponenti di svariati partiti politici erano stati prosciolti dalle accuse relative al processo di “Mafia Capitale”. Hanno assolto un politico: «Silenzio!». Che giornalismo è?
Alcuni di loro erano stati accusati addirittura di concorso in associazione mafiosa; invece erano innocenti.
I giornali non hanno dato molto peso a questa notizia. Per esempio il “Corriere della Sera” l’ha messo in fondo a pagina 18. “Il Fatto Quotidiano”, che ha molte meno pagine del “Corriere”, l’ha messo in fondo alla pagina 5. “Repubblica” ha sistemato una notizietta di poche righe ( quelle che in gergo giornalistico si chiamano le “brevi”) in fondo in fondo alla pagina 11.
Mi chiedo come si sarebbero comportati quegli stessi giornali, e tutti gli altri, se in redazione, anziché giungere una notizia di archiviazione, fosse giunta la notizia di un avviso di reato. Per Zingaretti, per Alemanno. Domanda inutile: basta andare a guardare come il giornali diedero la notizia degli avvisi di garanzia ad Alemanno e a Zingaretti. Prima pagina, con titoli gridati, per diverse settimane. E come anche recentemente questi avvisi nonostante la richiesta di archiviazione fosse stata già avanzata – venivano usati per tenere vive le polemiche. “Il Fatto” addirittura ha più volte attaccato Zingaretti, fino a un paio di giorni fa, per la sua posizione giudiziaria. Sosteneva che dovesse dimettersi da presidente della Regione e di conseguenza che nel Lazio si dovesse tornare al voto.
L’archiviazione decisa dal Gip ha riguardato ( per questo filone dell’inchiesta, che ormai è divisa in diversi tronconi) la bellezza di 113 imputati su 116. E tra questi 113 i nomi più famosi. Non si può dire che mancasse la notizia, perché la notizia era clamorosa.
Vedete bene che il problema dell’uso dell’attività giudiziaria in politica, attraverso il comportamento dei mass- media, esiste, è attuale. Noi possiamo anche stabilire che i magistrati, avendo avuto alcune segnalazioni di reato, abbiano fatto molto bene ad aprire un’indagine, e a vagliare anche le posizioni di Alemanno, di Zingaretti e di tutti gli altri. Il problema è che l’uso politico di queste indagini, in presenza di una classe politica che su questi temi è allo sbando, e di un chiamiamolo così – ceto giornalistico del tutto impreparato, porta a delle vere e proprie deformazioni della realtà, molto forti e anche molto ingiuste. E di conseguenza inquina la battaglia politica.
E’ ragionevole che i giornalisti si facciamo delle domande a questo proposito? Si chiedano se esiste o no un’etica, nella nostra professione, o se invece l’unica etica sia la convenienza, la massima semplificazione del nostro lavoro, oppure le regole del mercato e delle vendite. E dunque se il loro – cioè il nostro – lavoro sia diventato non più una attività intellettuale ma un semplice impegno commerciale.
Queste domande tornano sul caso Raggi- 5Stelle. L’attacco diretto e personale di Luigi Di Maio ad una decina di giornalisti dei più importanti giornali italiani, ha un sapore fortemente stalinista, o fascista, che non può non inquietare. E’ chiaro che nelle parole di Di Maio c’è un elemento ( e una volontà chiarissima) di intimidazione, che non ha niente a che fare con lo spirito della democrazia e della libertà di stampa. Per la verità, non è una novità assoluta. Anche nella beneducata prima repubblica avvenivano queste cose. C’è una famoso pezzo televisivo nel quale si vede Palmiro Togliatti rivolgersi a un giornalista ( mi pare dell’Umanità, che era il giornale del partito socialdemocratico) che si chiamava, se ben mi ricordo, Rocco Mangione, con questa folgorante battuta: «Lei è un mangione di nome e di fatto!». Personalmente mi ricordo anche di una volta, tanti tanti anni fa, quando il capo della Dc, che al tempo era Ciriaco de Mita, vedendomi nel drappello dei cronisti che aspettavano le sue dichiarazioni, siccome qualche giorno prima avevo scritto un articolo contro di lui, disse: finché quello non va via, io non parlo». Ci rimasi molto male.
Tuttavia la protesta contro le intimidazioni dei politici non può nascondere il problema di un giornalismo un po’ ignorante e non molto moderno. Voi avrete capito, forse, che a me Virginia Raggi non sta molto simpatica, e che penso che si stia dimostrando una pessima sindaca; però, francamente, non mi pare che sia colpevole di reati capitali. E l’accanimento della stampa contro di lei è un fatto indiscutibile. Anche l’accanimento dei magistrati. Una volta, quando l’accanimento era contro Berlusconi, tutti noi pensavamo che ci fosse dietro un disegno politico. Più difficile credere a una macchinazione giornalistico- giudiziaria contro la Raggi ( al massimo ci può esser la spinta di un po’ di costruttori romani), ma questo non tranquillizza nessuno, anzi dimostra che il problema del “giornalismo allo sbando” è in crescita esponenziale. Non è che la libertà di stampa aumenta, se il giornalismo è allo sbando. Io penso che diminuisca.
Ieri sono usciti altri casi clamorosi. Sgarbi sostiene che Grillo, in privato, gli abbia confidato le sue critiche alla sindaca ( ma pare che fosse invece un imitatore di Grillo). E un giornalista della Stampa ha registrato di nascosto alcune confidenze che un assessore di Roma – Berdini - faceva ad alcuni suoi amici, in privato, contro la Raggi.
Siamo sicuri che sia questo il giornalismo moderno? Cioè il giornalismo raggiunga la vetta quando viola la privacy, spesso anche i segreti di ufficio, e considera lo scoop un fatto tecnico, e non il risultato di un lavoro di scavo e di inchiesta? E che il giornalismo politico non debba basarsi sulla descrizione e l’analisi dei problemi sul tappeto, e delle posizioni delle forze politiche, ma sia invece quello che riesce a creare scandali, anche se non ci sono, e che ignora arrogantemente la scomparsa dello scandalo quando questo avviene?
E siamo sicuri che interrogarsi sull’immoralità del giornalismo, e sui mezzi illeciti che usa il giornalismo, non sia una ragionevole e utile attività di critica, ma sia un inammissibile attacco alla libertà di stampa?