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«Una sentenza che si inserisce nel solco della giurisprudenza della Corte Costituzionale». Il costituzionalista Giovanni Guzzetta, ordinario di diritto costituzionale all’Università di Tor Vergata di Roma, analizza il dispositivo della sentenza della Consulta sull’Italicum, il cui risultato è «una legge elettorale che, tecnicamente, permette di andare al voto» .
Professore, è stata una sentenza attesa, dal punto di vista dei contenuti?
Io non direi, perché il tema della legge elettorale è delicato e complesso. Sicuramente, però, posso dire che ci si aspettava ci fossero dei profili di accoglimento.
Proviamo ad analizzare, per quanto consente il solo dispositivo, la decisione della Corte: un Italicum smontato?
Facciamo ordine. La Corte ha dichiarato incostituzionale il ballottaggio e dunque ha fatto cadere l’intero procedimento del secondo turno, previsto nel caso in cui nessuno raggiungesse il 40% dei voti. Si ripristina, quindi, un sistema con un solo turno.
La seconda bocciatura riguarda le candidature plurime. Che cosa significa?
Non sono state dichiarate incostituzionali le candidature plurime in quanto tali, ma cade la possibilità per l’eletto in più collegi di scegliere a quale collegio riferirsi. Sostanzialmente, il candidato può presentarsi in più collegi, ma la decisione di quale sarà il suo collegio di elezione verrà determinata con un sorteggio, che è criterio residuale già previsto dalla legge.
E’ stato salvato, invece, il premio di maggioranza al 40%...
Significa, molto semplicemente, che la Corte ha ritenuto che la soglia del 40% per ottenere il premio di maggioranza sia ragionevole.
La sentenza sul Porcellum, però, bocciò il premio di maggioranza. Che cosa è cambiato?
La grande differenza è che, nel caso del Porcellum, la legge non fissava una soglia minima e assegnava il premio al partito con la maggioranza, qualsiasi essa fosse. Nel caso dell’Italicum, invece, è stato valutato che la soglia prevista del 40% permetta di assegnare il premio di maggioranza ad un partito con un consistente sostegno nel Paese.
Ma la soglia del 40% è effettivamente ragionevole?
La scelta della Corte è in linea con le tendenze degli altri ordinamenti. È frequente che chi ottiene la maggioranza dei seggi non abbia la maggioranza assoluta nel Paese, ma si assesti intorno al 35- 40% delle preferenze.
La Corte, in una nota, ha aggiunto che «all’esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione». Significa che si può andare a votare?
Anche in questo la Consulta è stata coerente con la sua precedente giurisprudenza, che prevede che le leggi elettorali siano indefettibili. Ciò significa che qualsiasi intervento, sia che avvenga per via referendaria che con giudizio costituzionale, deve lasciare in vita una disciplina residua in grado di essere attivata in qualsiasi momento.
Non si tratta di una sentenza innovativa, quindi?
La Corte si è limitata a ribadire la propria giurisprudenza, in un tema in cui un po’ tutti i partiti tentavano di strumentalizzare la sua decisione. Tutti volevano leggere la sentenza nel tentativo di capire se avrebbe avvicinato o allontanato la data del voto, invece la Corte non ha lasciato alcuno spiraglio per essere considerata contigua all’uno o all’altro schieramento, e lo ha fatto ribadendo una giurisprudenza consolidata in tempi non sospetti.
Nonostante tutte le polemiche degli ultimi mesi, dunque, la Corte è andata per la sua strada?
Il fatto che la Corte sia rimasta così legata ai propri precedenti è la dimostrazione che non ha subito alcuna influenza esterna. Tutto si può dire di questa sentenza, meno che i giudici abbiano fatto delle capriole inimmaginabili.
Eppure rimane il monito del presidente Sergio Mattarella, che ha più volte chiesto una legge elettorale armonica tra Camera e Senato. E’ questo il caso?
Non c’è dubbio che la legge elettorale post- sentenza sia in parte diversa da quella del Senato, se non altro perché al Senato le soglie di sbarramento per accedere ai seggi sono più alte di quanto non siano alla Camera. Inoltre, lasciando in piedi il premio di maggioranza alla Camera, si potrebbero determinare esiti molto diversi tra i due rami del Parlamento, posto che al Senato il meccanismo è puramente proporzionale.
Quindi, ad oggi, l’ingovernabilità è assicurata?
Diciamo che non c’è la certezza di omogeneità tra le maggioranze di Camera e Senato, ma nemmeno una probabilità di disomogeneità radicale.
Tecnicamente, comunque, dopo questa sentenza si potrebbe andare alle urne senza passaggi parlamentari?
Dal punto di vista tecnico si può andare a votare, perché il Consultellum al Senato e la legge postsentenza alla Camera sono perfettamente applicabili. Certo, la disomogeneità esiste, anche se è contenuta. Non spettava, però, alla Consulta questo aspetto di armonizzazione.
E ora che cosa succederà?
Ora la legge elettorale diventa una questione di opportunità politica. Spetterà al Parlamento decidere se andare a votare con due leggi che possono determinare esiti parzialmente o significativamente divergenti.