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Alla giunta delle immunità di Palazzo Madama è andata in scena una commedia tipicamente pirandelliana. All’ordine del giorno della seduta di ieri l’altro c’era il seguito dell’esame della domanda di autorizzazione a procedere nei confronti del senatore Salvini nella sua qualità di ministro dell’Interno pro tempore. Ed ecco il momento della verità: la giunta era chiamata a pronunciarsi sulla relazione del presidente, l’azzurro Maurizio Gasparri, contraria all’autorizzazione. Non trovando di meglio, la maggioranza di centrosinistra non si è presentata all’appuntamento.
Ha preferito abbandonarsi all’Aventino, che non ha mai portato bene. Ma perché? Per il semplice motivo che se avesse votato, si sarebbe trovata in maggioranza. Per l’appunto quello che non voleva. Difatti, avrebbe dovuto rivelare le proprie intenzioni, semmai qualche gonzo non le avesse ancora capite. Avrebbe dovuto votare contro la relazione Gasparri e perciò proporre all’assemblea del Senato di consegnare ai magistrati il leader della Lega. Ma, ad appena sei giorni dalle elezioni in Emilia- Romagna e Calabria – hai visto mai – sarebbe potuta apparire una cattiva azione. Quale in effetti sarebbe stata. Anche in considerazione del fatto che se in ipotesi Salvini ha commesso un reato, è in buona compagnia. In compagnia di tutti i ministri del precedente governo. A cominciare da Conte e da Di Maio, che non eccepirono alcunché sull’operato di Salvini nel caso Gregoretti.
Il guaio è che per darsela a gambe, per filarsela all’inglese, ci voleva un pretesto. Ma sì, un alibi. E il centrosinistra se l’è procurato grazie a un’altra cattiva azione. E cioè mettendo nel mirino il presidente del Senato e recitando così la parte delle vittime. Gregoretti, vi spiego perché alla giunta del Senato è andato in scena il teatro dell’assurdo in stile Ionesco
Alla giunta delle immunità di Palazzo Madama è andata in scena una commedia tipicamente pirandelliana. All’ordine del giorno della seduta di ieri l’altro c’era il seguito dell’esame della domanda di autorizzazione a procedere nei confronti del senatore Salvini nella sua qualità di ministro dell’Interno pro tempore. Ed ecco il momento della verità: la giunta era chiamata a pronunciarsi sulla relazione del presidente, l’azzurro Maurizio Gasparri, contraria all’autorizzazione. Non trovando di meglio, la maggioranza di centrosinistra non si è presentata all’appuntamento. Ha preferito abbandonarsi all’Aventino, che non ha mai portato bene.
Ma perché? Per il semplice motivo che se avesse votato, si sarebbe trovata in maggioranza. Per l’appunto quello che non voleva. Difatti, avrebbe dovuto rivelare le proprie intenzioni, semmai qualche gonzo non le avesse ancora capite. Avrebbe dovuto votare contro la relazione Gasparri e perciò proporre all’assemblea del Senato di consegnare ai magistrati il leader della Lega. Ma, ad appena sei giorni dalle elezioni in Emilia- Romagna e Calabria – hai visto mai – sarebbe potuta apparire una cattiva azione. Quale in effetti sarebbe stata. Anche in considerazione del fatto che se in ipotesi Salvini ha commesso un reato, è in buona compagnia. In compagnia di tutti i ministri del precedente governo. A cominciare da Conte e da Di Maio, che non eccepirono alcunché sull’operato di Salvini nel caso Gregoretti.
Il guaio è che per darsela a gambe, per filarsela all’inglese, ci voleva un pretesto. Ma sì, un alibi. E il centrosinistra se l’è procurato grazie a un’altra cattiva azione. E cioè mettendo nel mirino il presidente del Senato e recitando così la parte delle vittime. Che poi l’alibi non conti un fico secco, poco importa. Importa suonare la grancassa e dare a bere urbi et orbi che è stata commessa ai propri danni un’intollerabile ingiustizia. E allora ricostruiamo per filo e per segno come sono andate effettivamente le cose. E giudichi il lettore da che parte sta la ragione e da che parte il torto.
Tutto comincia prima della pausa natalizia. Si riunisce l’ufficio di presidenza della giunta, integrato dai rappresentanti dei gruppi, e si conviene all’unanimità che il voto su Salvini ci sarebbe stato il 20 gennaio. Tre giorni dopo la scadenza dei trenta giorni dalla data in cui la giunta ha ricevuto gli atti dalla presidenza del Senato. E questo per una cortesia istituzionale nei riguardi di due senatori della maggioranza in missione all’estero nei giorni precedenti. E precisamente i senatori Pietro Grasso di LeU e l’M5S MarioGiarrusso. E il primo, ex presidente del Senato, ringraziò Gasparri per essersi cortesemente adoperato in tal senso. Ma poi in giunta tutto si complica. Il centrosinistra sostiene a più riprese che il termine dei trenta giorni è ordinatorio e non perentorio. Vale a dire, c’è ma abbaia alla luna.
Pertanto il centrosinistra tenta di allungare la minestra. C’è chi chiede approfondimenti istruttori a volontà e chi, scoprendo gli altarini come il pentastellato Crucioli, chiede senz’altro il differimento del voto. E quando l’ufficio di presidenza della giunta dice di no, il centrosinistra protesta perché il 20 gennaio la giunta sarebbe stata al completo e avrebbe dovuto pronunciarsi contro Salvini. E allora, per non fare la figura dei Torquemada, meglio rinviare tutto a dopo le regionali. Batti e ribatti, la questione finisce alla giunta per il regolamento presieduta dalla Casellati. La Presidente integra la predetta giunta con altri due senatori di maggioranza, De Petris e Unterberger, al fine di rispecchiare di nuovo i rapporti di forza in assemblea. E della cosa il centrosinistra le dà doverosamente atto.
Ed ecco le determinazioni della giunta per il regolamento. All’unanimità, la giunta decide che il termine di trenta giorni entro il quale la giunta delle immunità vota a favore o contro l’autorizzazione a procedere nei riguardi di Salvini, è perentorio e non ordinatorio. Insomma, il termine c’è e va rispettato. E già qui il centrosinistra fa una magra figura. Prima dice che il termine è ordinatorio e poi si adatta – siamo al solito “contrordine compagni” – a cambiare radicalmente opinione. Ma a ragion veduta. Perché se si fosse votato il 20 gennaio, il centrosinistra sarebbe tornato in maggioranza. Cosa che non vuole per nessuna ragione al mondo. Perché intende gettare la maschera solo dopo le elezioni regionali. Quando in assemblea il 17 febbraio, come Nerone, metterà il pollice all’ingiù sull’ autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini.
Adesso viene il bello, come disse Mussolini prima che arrivasse a Roma il nuovo ambasciatore del Giappone, Matsuoka, brutto come la fame. Fermo il termine perentorio, la giunta si pronuncia nel senso che in via transitoria si possa votare su Salvini anziché il 17, il 20 gennaio. Ossia tre giorni dopo. Come all’unanimità fissato a dicembre dalla stessa giunta delle immunità. Al fine di arrivare al voto con la giunta al completo. Una decisione, questa, pienamente avallata dalla presidente Casellati. Che, peraltro, le fa onore. Perché è bene che la giunta presieduta da Gasparri si pronunci non a ranghi ridotti, con il risultato che l’opposizione sarebbe in maggioranza, ma al gran completo.
Apriti cielo! Il capogruppo del Pd, Andrea Marcucci, ha spensieratamente accusato la presidente Casellati di non essere più super partes, «di scendere pesantemente nell’agone politico». E sapete perché? Perché si è permessa – udite, udite – di “esprimersi” ( proprio così!) nella Giunta per il regolamento che lei presiede.
Ma la Giunta è un organo di consulenza per l’appunto del Presidente. Al suo interno, maggioranza e opposizione non hanno senso. Tant’è che il numero dei componenti è pari, esclusa la Presidente. Dieci, secondo il regolamento. E ora dodici. Perciò i “voti” il Presidente non li deve contare ma pesare. Non vale la maior pars, semmai la melior pars. Ogni componente darà la sua personale interpretazione del regolamento e, a conclusione del dibattito, è il Presidente a trarre le conclusioni. Con giudizio, si capisce. Com’è accaduto nel caso specifico al di là di ogni ragionevole dubbio. E se un appunto può muoversi alla Casellati, è semmai quello di aver agito per difetto e non per eccesso. Perché, alla luce delle precedenti considerazioni, il Presidente della Giunta per il regolamento, più che votare, deve decidere. In maniera insindacabile. Può essere criticata, certo. Ma non lapidata senza motivo, com’è accaduto.
Da buon toscano, Marcucci si attiene a Machiavelli. Apocrifo o meno che sia ( Machiavelli, non Marcucci). Il fine giustifica i mezzi. E accusa pretestuosamente la Casellati per giustificare l’assenza della maggioranza di centrosinistra dalla giunta delle immunità al momento del voto di ieri l’altro. Una cattiva azione che grida vendetta. Senza pudore. Tanto più che il sullodato Marcucci non ne indovina una. Sostiene che Salvini avrebbe potuto rinunciare all’immunità. E ignora che l’immunità è una prerogativa e non un privilegio, e perciò è irrinunciabile. Sostiene che i trenta giorni decorrono dalla data della richiesta della magistratura. E ignora che i trenta giorni decorrono invece dalla data in cui la giunta ha ricevuto gli atti non dalla magistratura ma dal presidente del Senato. Ma un capogruppo che ignora l’abc delle procedure parlamentari, non è legittimato a fare la predica a nessuno. Tanto meno al presidente del Senato.
In zona Cesarini si sono poi avuti colpi di scena a ripetizione. In giunta il centrosinistra non si presenta per protesta… pretestuosa. Forse sperava che mancasse il numero legale. Ma ha fatto male i conti. Perché per la validità delle sedute della giunta basta un terzo dei ventitré componenti, pari a otto. E il centrodestra si è presentato con tutti i suoi dieci membri. I cinque della Lega, su suggerimento di un Salvini che offre spavaldamente il petto al fuoco nemico, votano contro la relazione Gasparri, contraria all’autorizzazione a procedere nei confronti del Capitano. E siccome due negazioni affermano, i cinque della Lega propongono all’assemblea di mandare a processo il loro leader. I tre di Forza Italia e l’unico senatore di Fratelli d’Italia invece dicono sì alla relazione Gasparri perché non vogliono che Salvini sia processato, in quanto ha agito per un preminente interesse pubblico. E il presidente della giunta, l’azzurro Gasparri, nella sua veste di relatore non può per coerenza che dire sì alla propria relazione. Risultato: cinque a favore e cinque contro. Data la parità, la relazione di Gasparri è respinta.
Il 17 febbraio la parola passa all’assemblea di Palazzo Madama. Il centrosinistra dirà sì all’autorizzazione a procedere nel caso che il centrodestra vi si opponga. E Salvini, numeri alla mano, verrà rinviato a giudizio. Dopo aver scagliato il sasso, non c’è più motivo che il centrosinistra nasconda la mano. Come ha fatto lunedì, sei giorni prima delle elezioni regionali. Ma Salvini, e lui solo perché i ministri del Conte 1 se c’erano dormivano e si sono defilati, rischia grosso. Rischia la condanna fino a quindici anni e la revoca, dopo la sentenza definitiva, del seggio senatoriale.
All’avversario da battere con gli strumenti della politica, il centrosinistra preferisce abbattere il nemico Salvini per via giudiziaria. Con tanti saluti al garantismo a giorni alterni. Una vergogna bella e buona. Ma Salvini finirà per trascinare con sé Conte, Di Maio e compagnia cantante. E magari al processo ne vedremo delle belle. Un finale di partita al cardiopalmo, in giunta. Un teatro dell’assurdo degno di Ionesco. Una commedia degl’inganni da lasciare di stucco. Sì, ma che spettacolo! Però, ne vorremmo vedere di migliori. Senza trucchi. Senza infingimenti. Senza maschere calate sul volto da ambo le parti. A viso aperto. E’ troppo sperare?