Francesco Paolo Sisto, viceministro della Giustizia, l’Anm ha un nuovo presidente, già nella bufera per quella sua frase, “ci farebbero comodo due magistrati morti”. Cosa pensa di un’affermazione del genere?

Per utilizzare un’espressione forense, mi riporto a quanto già osservato, sulle pagine del “Dubbio”, da Stefano Musolino, segretario di Md, da Andrea Mirenda, consigliere Csm, da Marco Manzi, collega di Parodi: “Una brutta caduta di stile”, “servono equilibrio, etica, deontologia e terzietà, qualcuno lo dica al confuso dottor Parodi… frase davvero infelice nel suo cinismo”. I commenti dei magistrati stigmatizzano a sufficienza l’insufficienza dei tentativi, da parte della corrente Area, di minimizzare la tragica gaffe, riportandola in un alveo di surreale amarezza. Se proprio devo esprimere un mio parere, si tratta della dimostrazione scientifica della difficoltà in cui versa il neopresidente della Associazione nazionale magistrati, consapevole che sulla riforma costituzionale deve vedersela con gran parte degli italiani che non la pensa come lui.

Sembra però esserci un rinnovato dialogo col sindacato delle toghe, forse anche per l’appartenenza del presidente a una corrente moderata. È così?

La parola dialogo per quello che riguarda il governo e, in particolare per quello che mi riguarda, la trovo fondamentale, purché ovviamente rispetti le geometrie tracciate dalla Costituzione. Se dialogare significa una leale collaborazione nell’interesse delle istituzioni e dei cittadini, è atteggiamento addirittura doveroso e indispensabile per il corretto funzionamento dei meccanismi democratici. Se invece deve essere il modo per nascondere il tentativo di condizionare le prerogative di ciascuno, diventa un’ipocrisia inaccettabile e addirittura pericolosa. L’articolo 101 della Costituzione non ammette mediazioni, meno che mai al ribasso: il Parlamento fa le leggi, la magistratura le applica, con il privilegio di essere soggetta soltanto alle stesse leggi. Fermi questi assi cartesiani inscalfibili, Parlamento e magistratura devono dialogare. Sia chiaro: desta perplessità la protesta astensionistica delle toghe contro un percorso legislativo già avviato e votato da un ramo del Parlamento, addirittura con il consenso di parte dell’opposizione. E se si rilegge il 101, già citato, della Carta costituzionale, la contraddizione con quei principi è evidente. I giudici, che sono soggetti soltanto alla legge, possono scioperare contro la legge stessa? Sinceramente, alla stregua di quanto accade in altri Paesi, ho delle perplessità. Il nostro, per fortuna, è un luogo in cui si può liberamente dissentire, esprimere la propria opinione, magari votare No al referendum confermativo, ma dubito che l’articolo 21, in questo caso, possa legittimamente tracimare nel diritto di sciopero dell’articolo 40. Si tratta di una scelta quanto meno borderline rispetto ai parametri costituzionali sopra indicati.

In questi giorni ci sono state varie indiscrezioni giornalistiche su un’apertura del governo a possibili modifiche sulla separazione delle carriere, addirittura per quanto riguarda il doppio Csm. Questo però rischia di rallentare drasticamente il cammino della riforma, che dovrebbe dunque fare un altro passaggio alla Camera, con nuove audizioni. Ma davvero c’è la possibilità di un passo indietro?

Passi avanti, non passi indietro. Laddove per “passi avanti” si intende raggiungere al più presto le quattro letture parlamentari della riforma, in perfetto allineamento con l’articolo 138 della Costituzione. Vorrei ancora una volta tranquillizzare l’Anm: non sarà il Parlamento a decidere se queste norme diventeranno Costituzione, bensì il popolo sovrano con il referendum, metodo saggiamente individuato dai padri costituenti e che dovrebbe piacere a tutti. O forse l’Anm intende, di fatto, impedire l’esercizio della democrazia diretta da parte dei cittadini?

Se davvero si virasse verso il Csm unico, seppur sdoppiato in distinte sezioni, non sarebbe in gran parte compressa quella separazione ordinamentale che poi dovrebbe essere il cuore della riforma, anche considerato che un Csm unico non potrebbe che avere un plenum unico?

Separare le carriere comporta necessariamente la separazione- duplicazione dei Csm. L’articolo 111 della Costituzione descrive plasticamente la struttura del processo: le parti, in condizioni di parità, compaiono davanti a un giudice terzo e imparziale. Se provassimo a disegnare la narrazione costituzionale, non potremmo che prendere atto che la terzietà del giudice significa diversità e uguale distanza sia dalla difesa sia dall’accusa. Cioè potrebbero mai, giudice e accusa, naturalmente e doverosamente separati, vivere nella stessa casa coniugale, in un unico Csm? Assolutamente no.

Il “Dubbio” ha dato conto di tensioni tra Palazzo Chigi e via Arenula proprio in merito tale possibilità, con Nordio fermo nella volontà di lasciare il testo così com’è. Ce lo conferma?

Non ho notizie, dirette o indirette, relative a ipotetiche tensioni sulla riforma costituzionale e nemmeno di diversità di vedute, e nemmeno di possibilità di modifiche. Il governo, con la entusiastica partecipazione di Forza Italia, ha proposto il disegno di legge, la commissione Affari costituzionali della Camera lo ha votato, l’aula di Montecitorio ha scelto di non modificarlo, con maggioranza ampissima. Avanti tutta!

La relazione annuale sull’amministrazione della Giustizia conferma che gli errori giudiziari continuano ad essere un problema del sistema, ma a fronte di circa 5.000 ingiuste detenzioni ci sono state solo 9 condanne disciplinari in sette anni. Com’è possibile? E come si può intervenire?

Premetto, come da tempo sostengo, di non essere interessato a sanzionare la magistratura sotto il profilo disciplinare, ma soprattutto a creare le condizioni perché gli errori non si possano/ debbano verificare. Come scriveva Jhering, filosofo del diritto dei miei studi universitari, “la sanzione arriva sempre troppo tardi”, quando il danno si è ormai verificato. Consapevoli di questo, siamo già intervenuti con il primo pacchetto di riforme targate Nordio per evitare ogni frettolosità nella emissione di misure cautelari, con interventi mirati, tesi a garantire anche in quella fase un equilibrato diritto di difesa. E anche le novelle sul diritto penale sostanziale e sugli eccessi di invasività delle indagini hanno avuto lo scopo di evitare che vi possa essere, come spesso accade nel nostro Paese, la lettura della misura cautelare come una anticipazione, patologicamente precoce, della sentenza di condanna.

Va rammentato che la privazione della libertà personale deve essere, al tempo stesso, una eccezione e una necessità, e che l’Europa ci ha ricordato fin dal 2016 come la presunzione di non colpevolezza non sia semplicemente la vuota successione di quattro parole, ma una monumentale premessa da cui deve partire ogni lettura del processo penale, che deve essere giusto, come la Costituzione impone che sia. Se questo fosse lo spirito, condiviso, del “dialogo” sarebbe un grande passo in avanti, proprio per tutti.