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Era stato sospettato persino di aver organizzato stragi mafiose Silvio Berlusconi, ma mai di aver tramato con servizi segreti russi manovrati dal suo amico Putin per far fuori sul territorio italiano e proprio a Milano, a due passi da casa sua, una testimone dell’accusa contro di lui, la modella Imane Fadil. Il leader di Forza Italia, temendo le deposizioni della ragazza, l’avrebbe trattata come si conviene a una spia e con la punizione che si meritava, il lento avvelenamento con sostanze radioattive.
Proprio come capitato in Inghilterra alla spia russa Litvinenko e come abbiamo letto tante volte nei romanzi di spionaggio. Sta capitando anche questo. Una giovane donna di origine marocchina, ex modella disoccupata e testimone nei vari “processi Ruby”, viene ricoverata in condizioni gravissime alla fine di gennaio alla clinica Humanitas di Milano e muore dopo un mese senza che i medici siano riusciti a formulare una diagnosi. Midollo osseo che non produce più globuli né piastrine, fegato e reni ridotti al minimo di funzionalità. E lei che dice di esser stata avvelenata, ma aggiunge anche di essere una santa e di aver visto il demonio. Ad Arcore, ovviamente. I medici fanno eseguire analisi del sangue nel centro specializzato della clinica Maugeri di Pavia, ma l’arsenico non c’è e la presenza di metalli velenosi è sotto ogni soglia di pericolosità. Così dice la relazione dei tecnici.
Il caso sarebbe stato archiviato come un semplice fallimento delle capacità diagnostiche della nostra medicina, se non fosse intervenuto a ingarbugliare le cose un più che mai agguerrito circo mediatico- giudiziario con le sue paginate di sospetti il cui Oscar questa volta va attribuito più a Repubblica ( complimenti al nuovo direttore Carlo Verdelli) che al consueto Fatto quotidiano.
Si sospetta che qualcuno abbia assassinato la ragazza per non farla parlare, per non farla deporre contro Berlusconi. Ma c’è qualcosa che non quadra. Il punto più oscuro è quello delle date. Imane Fadil muore il primo marzo, alle sei del mattino. La notizia esce sui giornali sabato 16 marzo. Sono passate due settimane. La procura della repubblica di Milano fa subito sapere di esser stata tenuta all’oscuro da parte dell’Humanitas sia della malattia che della morte di un’importante testimone processuale fino a quando la notizia non è stata data dall’avvocato della ragazza giovedi 14. Il che appare piuttosto strano: per quale motivo i medici dell’istituto milanese avrebbero tenuto per due settimane in cella frigorifera dell’obitorio il corpo della giovane donna se non per una disposizione dell’autorità giudiziaria? E’ chiaro quindi che qualche disfunzione si è verificata all’interno del palazzo di giustizia di Milano, dove la notizia della morte di Imane Fadil è sicuramente arrivata il giorno della sua morte, ma forse anche prima. Distrazione o calcolo?
E forse questa testimonianza da parte dell’accusa non era poi ritenuta così importante, visto che all’ex modella era anche stata rifiutata la costituzione di parte civile. E del resto che cosa avrebbe potuto aggiungere che già non avesse detto (persino il fatto che un cittadino siriano volesse portarla ad Arcore per farla ritrattare, cosa che però non accadde e che l’uomo nega), che già non si sapesse? Il processo Ruby si è risolto con l’assoluzione definitiva di Berlusconi rispetto all’unico reato di cui era accusato, la prostituzione minorile. Per il resto, anche qualora la testimone fosse venuta a conoscenza di rapporti sessuali tra adulti consenzienti, quale sarebbe stata la rilevanza penale? E’ chiaro quindi che, se complotto c’è stato, è sicuramente diretto nei confronti di Silvio Berlusconi. Non solo perché la bomba Imane Fadil è stata fatta esplodere nella pancia della candidatura alle elezioni europee, ma anche e soprattutto perché la morte di una teste chiave dell’accusa nei vari processi Ruby impedisce definitivamente alla difesa quei controinterrogatori indispensabili per verificare l’attendibilità della persona chiamata a deporre. Soprattutto nel processo “Ruby ter”, sulla presunta corruzione di testimoni, sarebbe stato interessante contrapporre la parola di Fadil a quella del cittadino siriano.
Ma sarebbe tutto troppo semplice, se la procura, addirittura con la voce del suo capo Francesco Greco, non avesse alzato il tiro con una conferenza stampa davvero inconsueta per la abituale riservatezza del personaggio. Pare proprio una excusatio non petita. Si insiste sulla questione delle date: è nato prima l’uovo o la gallina? Cioè quel famoso primo marzo chi ha telefonato per primo in procura, il direttore sanitario dell’Humanitas o l’avvocato Paolo Sevesi? E siamo proprio sicuri che l’antimonio o altre sostanze che avvelenano il sangue fossero presenti nella vene di Imane Fadil in dosi sotto la soglia di pericolo? O invece erano in dosi superiori? E poi: qualcuno sa quale sia questa soglia? Ecco che la parola “radioattività” esplode come una bomba, si diffonde addirittura la voce di un pericolo per chi dovrà effettuare l’autopsia ( dopo quasi venti giorni dalla morte) sul corpo della ragazza. Si coinvolgono i pompieri. Mentre il procuratore, visibilmente provato, sussurra che la causa della morte di Imane Fadil potrebbe anche essere dovuta a qualche forma di malattia rara. Cosa che del resto avevano già sospettato anche i medici. Che cosa c’entra Silvio Berlusconi in tutto ciò? Niente, è solo la solita vittima di un circo equestre ormai stantio persino per i più appassionati della lotta contro il “cavaliere nero”.