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I lavori parlamentari sono ancora fermi ma il calendario serrato di settembre impone riflessioni in vista di referendum ed elezioni regionali, che il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia, definisce «un test nazionale».
Come partito avete stipulato il patto “anti inciucio” con Lega e Forza Italia, ma in quel patto c’è anche il sostegno all’autonomia del Veneto, una contraddizione rispetto allo spirito di unità nazionale che contraddistingue da sempre Fdi. Come lo spiega?
Il patto è una conquista ascrivibile alla perseveranza di Giorgia Meloni che già nel 2018 cercò di indurre gli alleati a una presa di posizione chiara per esorcizzare i vociferii. Si diceva che la Lega avrebbe potuto dar vita a un governo con il M5s, come ahimè poi è stato, e si rumoreggiava di possibili relazioni tra Forza Italia e pezzi centristi del Pd. All’epoca non avemmo fortuna ma l’esperienza negativa del governo pentaleghista, assieme alla crescita di Fdi, che è passato dal 4% al 15- 18%, almeno stando ai sondaggi, ha portato al successo di questo patto. Si fa riferimento agli accordi elettorali del 2018, tuttora vincolanti e sottoscritti dai tre leader, in cui i processi di autonomia sono regolamentati. Non siamo mai stati contrari a un decentramento ma condividiamo con tanti sindaci, anche leghisti, la necessità dare maggiore forza e peso specifico ai comuni che sono il primo approdo di cittadini, famiglie e imprese. Deve esserci poi il contrappeso dell’elezione diretta del capo dello Stato, che diventa garanzia di conservazione dell’unità nazionale. Siamo però contrari all’autonomia se questa marcia da sola verso la direzione dell’indipendenza di regioni intere o di processi secessionisti.
Il patto tuttavia rafforza il centrodestra in vista delle regionali di settembre. Quale risultato si aspetta per Fdi?
Ci aspettiamo risultati importanti. Riteniamo che i cittadini italiani abbiano capito le fragilità di Giuseppe Conte e del suo governo e abbiano iniziato a maturare qualche forma di timore rispetto alla china che ha preso il sistema economico italiano dopo i colpi dell’emergenza sanitaria e del lockdown. Ci aspettiamo una vittoria tonda non solo in Veneto e in Liguria dove già governiamo ma in tutte le altre regioni. Riteniamo comunque che possa essere un test nazionale significativo e ci auguriamo che se le cose dovessero andare in una certa direzione Conte si dimetta e Mattarella, dopo aver cercato di non far governare il centrodestra in tutti i modi, faccia un esame di coscienza e sciolga le camere per poi indire nuove elezioni.
Crede che un buon risultato di Fdi, magari quasi a ridosso di una Lega data in discesa, possa cambiare gli equilibri interni al centrodestra?
A noi interessa che la coalizione di centrodestra vinca, poi è chiaro che c’è un partito guida, che in questa fase storica è la Lega. In futuro potrebbe anche essere Fratelli d’Italia ma la competizione all’interno della coalizione è blanda e viene dopo il desiderio di vittoria di squadra, a partire dalle regionali.
Si voterà anche per il referendum e Fdi è schierata per il Sì, sulla stessa linea degli acerrimi rivali del M5s. Da vicepresidente della Camera, non crede che il taglio dei parlamentari, se approvato, creerà squilibri costituzionali?
Nel programma elettorale del 2018 tutti i tre partiti di centrodestra hanno sottoscritto l’impegno a procedere con la riduzione del numero dei parlamentari. È possibile che ci sia un pizzico di demagogia ma quando il centrodestra ha governato ha messo in campo una riforma costituzionale importante che prevedeva un sostanzioso calo dei parlamentari. Purtroppo il referendum la bocciò, altrimenti già dieci anni fa avremmo ridotto i parlamentari. É probabile che ci siano effettivamente degli squilibri, ma la condizione fondamentale è che insieme al taglio dei parlamentari si vari una riforma della legge elettorale. Quella di Pd e M5s punta solo a garantirsi il governo del paese anche in assenza di una maggioranza: una sorta di evoluzione della specie in senso proporzionale. La nuova legge elettorale deve invece ricostruire la geografia dei collegi.
Qualcuno ipotizza anche il rinvio della tornata elettorale in caso di aumento dei contagi. Teme che si possa arrivare a tanto?
Sarebbe un fatto gravissimo che ci vedrebbe reagire in maniera durissima, in Parlamento e in piazza. Va specificato che le modalità con cui si sta contrastando la pandemia sono comunque inadeguate, perché non c’è sufficiente precisione, energia, rigore e convinzione nel far rispettare quelle norme elementari per tentare di sconfiggere il coronavirus. Non serve agitare specchi come quello del prolungamento dell’emergenza sanitaria, della mancata riapertura dell’anno scolastico o, peggio ancora, di un nuovo lockdown. Bisogna convivere con queste infezioni che provengono dalla Cina, come la Sars, dalla quale ci salvammo perché le relazioni con la Cina all’epoca non erano così strette come oggi. O la Cina si adegua ai nostri standard sanitari, igienici, di abitudini, di qualità alimentare, di democrazia e di rispetto dei diritti umani, oppure noi saremo sempre a rischio forse per i prossimi secoli. Bisogna capire se il mondo occidentale si sente ancora leader del pianeta.
Steve Bannon, stratega di Trump e vostro ospite ad Atreju, è stato arrestato per frode. Distinguendo il patriottismo dal sovranismo, pensa che quest’ultimo stia perdendo la sua battaglia con la storia recente?
Non conosco nulla della sua storia e lo sento abbastanza distante dalla cultura politica della destra italiana. Certamente è uno dei tanti interlocutori con cui si può e si deve parlare, come facemmo persino con Bertinotti e Landini, ma da qui ad associarlo alla destra italiana ce ne passa.