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«Non penso di essere migliore dei colleghi che hanno votato contro l’arresto di Sozzani e che, diversamente dalla sottoscritta, non sono venuti allo scoperto». Se cercate una garantista vera, nel Pd, dovete recarvi a Montecitorio, presso l’ufficio dell’onorevole Enza Bruno Bossio. Lo si capisce da una risposta del genere. Non solo è l’unica deputata dem ad aver dichiarato in anticipo il proprio voto contrario all’arresto del collega forzista. Non ha salvato solo lui, salva pure i colleghi che hanno fatto la stessa scelta ma al riparo del voto segreto. Garantista con tutti, insomma, la parlamentare calabrese. E convinta che «ci sia molta più sensibilità di quanto si immagini, per le garanzie: dai gossip del Transatlantico è emerso come anche qualche deputato 5 Stelle avrebbe votato contro l’autorizzazione all’arresto di Sozzani. Mi auguro, ora, che la battaglia dell’Unione Camere penali contro la modifica della prescrizione possa trovare sostegni altrettanto trasversali».
Aspetti, onorevole. Non le pare di essere troppo ottimista? Non crede che ci siano distanze già solo tra il Pd e Italia viva?
Ma no. Ci possono essere posizioni individuali diverse come nel caso del voto su Sozzani, ma in fondo il garantismo è presente in modo uniforme e direi ampio da tutte e due le parti. La controprova? Nella giunta per le autorizzazioni noi del Pd siamo stati rappresentati da tre colleghi, tutti e tre favorevoli all’arresto di Sozzani: Bazoli, Annibali e Scalfarotto. Il primo è rimasto con noi, gli altri due sono andati con Renzi. Vuole un altro esempio?
Prego.
Nell’intergruppo parlamentare per la separazione delle carriere il Pd era rappresentato da Giachetti, Vazio e dalla sottoscritta. Il primo ora è in Italia viva, io e Franco Vazio siamo rimasti nel Pd.
Qualcuno le ha rimproverato il voto a favore di Sozzani, all’interno o all’esterno del Pd?
Nessuno. D’altronde lo avevo annunciato non in aula ma in una riunione di gruppo a luglio. La verità è che se non ci fossimo trovati nel pieno della congestione provocata da Renzi, dalla sua scissione, avremmo potuto riunirci di nuovo all’immediata vigilia del voto in aula e probabilmente si sarebbero visti altri deputati del Pd dichiarare il proprio dissenso dalla linea del gruppo.
Lei perché, nel caso specifico, si è dissociata dall’indicazione?
Vorrei che si riflettesse su quanto la motivazione della misura cautelare fosse ridicola, e che tale sarebbe dovuta apparire anche se fosse stata alla base di un’ordinanza rivolta contro un qualsiasi cittadino. Non si tratta di salvare un deputato ma di evitare decisioni, appunto ridicole, per chiunque.
Perché era ridicola?
Parliamo di un’accusa di finanziamento illecito relativa a una campagna elettorale di un anno e mezzo fa: mi spiega come l’indagato potrebbe reiterare il presunto illecito, in un caso del genere? Dov’era la necessità dei domiciliari?
Secondo i dem della giunta non ci sarebbe fumus persecutionis.
E invece il fumus è proprio nell’abnormità della misura cautelare richiesta per un’ipotesi di reato inconsistente e sulla base di presupposti inesistenti. Poi a quella sua domanda, “perché ha votato contro l’arresto”, posso rispondere anche con una considerazione più generale.
Le misure cautelari detentive andrebbero applicate solo nei casi estremi indicati dalla legge del 2015?...
Certo, e c’è un motivo di politica giudiziaria chiarissimo. Vede, noi abbiamo ormai un numero enorme di persone che non distinguono indagine, rinvio a giudizio, condanna in primo grado. Noi dobbiamo ricordare che un procedimento penale lascia il tempo necessario per verificare la fondatezza dell’accusa, e che il giudice deve poter compiere tale valutazione senza lasciarsi condizionare dal fatto di trovarsi dinanzi a un imputato già privato della libertà personale.
E invece mettere in ginocchio la persona accusata ne indebolisce la capacità di difendersi.
L’uso distorto e abnorme della misura cautelare spiega la proposta di separazione delle carriere avanzata dall’Unione Camere penali. È necessario preservare l’autonomia del magistrato giudicante. Si deve fare i conti con un’opinione pubblica e una parte del sistema politico e mediatico nettamente schierate su posizioni giustizialiste.
Sulla politica giudiziaria si rischia di assistere a un conflitto Pd- Italia viva?
Non direi. Noi del Pd, i renziani e gli stessi compagni di Leu siamo concordi sulla necessità di differire l’entrata in vigore della nuova prescrizione, o almeno di modificare quella norma. E poi mi creda: così come sulla giustizia, anche su tutto il resto non vedo grandi differenze.
E allora perché Renzi se n’è andato?
Come è stato giustamente detto, le scissioni si fanno per posizionamento, non per convincimento.
Nella riforma Bonafede c’è una cosa che mette sicuramente d’accordo Pd, Renzi e Leu: siete tutti contro il sorteggio al Csm.
Be’, io invece non sono pregiudizialmente contraria. Me ne sono convinta ancor di più dopo che Di Maio ha proposto quel metodo per scegliere i direttori generali nella sanità pubblica. Se partiamo dal presupposto che tutti i magistrati hanno adeguate competenze, il sorteggio per chi deve rappresentarli al Csm può solo garantirne l’autonomia.
Qualcuno le ha fatto i complimenti per la trasparenza sul caso Sozzani?
Tantissimi. Ho ricevuto messaggi splendidi. Uno mi ha colpito più di tutti: “Finalmente si fa politica per coerenza e non per convenienza”. A me in effetti non conveniva espormi. Ma proprio perché so cosa significa la gogna mediatica, sono convinta che si debba preservare la libertà di valutazione del magistrato giudicante.
Tra quelli che si sono complimentati c’è anche qualcuno che non ha avuto il suo stesso coraggio?
Come dice Giachetti, se il voto è segreto è perché ne sia rispettata la libertà di esercizio. Merita rispetto anche la scelta di chi non l’ha resa esplicita. Non penso di essere migliore. Anzi, è grazie a quei colleghi se, nel caso di Sozzani, ha vinto il garantismo.